Claudio Liu, founder e patron del Gruppo Iyo – nove milioni di fatturato e cento dipendenti – è il protagonista della ristorazione giapponese a Milano.
Nel 2007 ha inaugurato un ristorante, Iyo, che ha fatto da spartiacque della ristorazione orientale a Milano – prima (e oggi unica) insegna giapponese con la stella Michelin in Italia – e che si è appena rifatto il look. Con Aji ha cambiato le regole del delivery, con un servizio indipendente e di alta qualità e scontrini medi doppi rispetto al mercato. E da qualche giorno ha deciso di portare in città, all’interno degli spazi di piazza Alvar Aalto (nella stessa sede di Iyo Omakase), la tradizione kaiseki, massima espressione dell’alta cucina del Sol Levante. Se c’è un protagonista indiscusso dell’alta ristorazione orientale a Milano, questo è Claudio Liu. Classe 1982, nato in Cina ma cresciuto vicino Correggio, in Emilia, due fratelli nel medesimo campo (Marco gestisce Ba e Giulia è alla guida di Gong), imprenditore lungimirante e maestro dell’ospitalità, Liu guida un gruppo da nove milioni di euro, quattro insegne e oltre cento dipendenti.
Ci racconta il nuovo Iyo Kaiseki?
A Milano mancava un posto così, dieci anni fa non sarebbe stato compreso ma oggi la città è pronta. Abbiamo fatto un lavoro di ricerca di oltre sette mesi, Iyo Kaiseki è la massima espressione dell’alta cucina giapponese: ogni degustazione diventa una vera e propria cerimonia che rievoca un’eleganza imperiale, con portate scenografiche composte seguendo i dettami del moritzuke, l’arte di presentare i piatti e le materie prime che li compongono in maniera armoniosa. In cucina c’è l’executive chef Katsumi Soga, con la collaborazione di Luca De Santi, il nostro pastry chef, e di Takeshi Iwai, che è diventato il “travelling chef” di Iyo Group.
Iyo Kaiseki ha preso il posto di Aalto, ristorante che proponeva una cucina “libera”, a cavallo tra cultura gastronomica italiana e tecniche e gesti giapponesi. Come mai questa scelta?
Aalto è stata un’avventura bellissima che ci ha dato grandi soddisfazioni (era l’altra insegna del gruppo con la stella Michelin, ndr), Milano ha risposto bene ma non quanto speravamo. Dopo oltre quattro anni ci siamo resi conto che bisognava cambiare direzione e virare su una cucina che ci appartenesse di più. Nello stesso locale, firmato dall’architetto Maurizio Lai, continua invece ad avere vita propria Iyo Omakase, dove vivere un’esperienza unica al banco.
Nel mentre Iyo Restaurant, a via Piero Della Francesca, si è rifatto il look.
Lo abbiamo praticamente raso al suolo e abbiamo annesso altri spazi, tra cui il banco di miscelazione, dove fare un aperitivo o attendere altri ospiti, ma mantenendo le due salette private da 20 e 10 posti. Volevamo offrire una ristorazione più inclusiva e un ambiente più internazionale. La cucina, di ultima generazione, è stata creata ancora una volta dall’azienda Marrone. In totale, si tratta di una struttura di 800 metri quadrati.
Aji, il progetto di delivery, continua a crescere. Qual è il segreto del successo?
È un delivery fuori dall’ordinario, indipendente e di alta qualità: l’utente ordina direttamente da noi e la consegna viene effettuata con precisione e puntualità dai nostri rider, formati ad hoc. Il packaging è stato creato su misura dei piatti, gli ammortizzatori dei veicoli sono stati ottimizzati per ridurre le vibrazioni durante il trasporto, così da non rovinare il cibo. Abbiamo voluto investire molto sulla business intelligence e tra poco lanceremo la nuova piattaforma che migliorerà la user experience e che sarà completamente integrata con l’app dei rider, la cassa e la produzione. Mi consentirà di tenere sotto controllo tutto il processo, di analizzare i dati e di profilare ogni cliente. L’inaugurazione della seconda sede nella zona Sud di Milano ci ha consentito di coprire meglio la città. Il prossimo tassello potrebbe essere quello di creare un altro laboratorio di preparazione in cui standardizzare le basi, dalla soia all’aceto di riso ai gyoza, e distribuirli nei nostri outlet sempre con un gusto perfetto.
Quant’è cambiata la cultura della cucina giapponese in Italia?
Dopo la pandemia c’è stata una grande voglia di tornare nei ristoranti asiatici e a Milano ci sono grandi investimenti sui locali fine dining cinesi e giapponesi. Una volta per stupire l’ospite bastava un roll con astice ma oggi il livello della cucina nipponica in Europa è davvero alto, il pubblico conosce tutte le preparazioni ed è sempre più difficile sorprendere i palati allenati. Ecco anche il perché della nostra conversione in kaiseki, è giunto il momento di fare un upgrade.
Iyo ha ormai 17 anni di storia, qual è il piatto a cui è più affezionato?
Direi l’ika somen, il crudo di calamaro sfrangiato con uova di quaglia e caviale, è il nostro piatto bandiera, quello che meglio racconta la nostra identità culinaria.
I prossimi progetti?
Stiamo lavorando all’apertura di un altro outlet fuori dalla Lombardia, sarà un format simile a Iyo Restaurant ma più semplice e più dinamico. E poi vorrei trovare un’altra location per Iyo Omakase e renderlo indipendente, ma se ne parlerà non prima del 2026.