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Cuore di manager: alla scoperta dell’impatto di lavoro e stress

Adyen Articolo
Velasco25

Alla scoperta dell’impatto di lavoro e stress sulla salute cardiovascolare, con il cardiologo Giovanni Esposito.

L’uomo è ciò che mangia. L’aforisma di Ludovico Feuerbach riflette perfettamente il valore di una sana alimentazione per il benessere psicofisico. Ma se andiamo a vedere cuore ed arterie, con il rischio di aritmie e di andare incontro ad un infarto, forse dovremmo ampliare il concetto. E, chiedendo scusa per l’improprio accostamento, potremmo coniare un nuovo motto che suona più o meno così: “La salute cardiaca sta in come lavoriamo”. Ovviamente il riferimento non è alla fatica fisica, pur da considerare. Piuttosto, per il/la professionista ed il/la manager, si può affermare con assoluta certezza che il lavoro (e la soddisfazione annessa, in termini di riconoscimento economico e umano) impatta sull’omeostasi cardiovascolare. Le prove non mancano. Stando a quanto pubblicato su ‘Circulation: Cardiovascular Quality and Outcomes’, dagli studiosi dell’Università canadese Laval, la tensione lavorativa e la percezione di non veder riconosciuto il proprio impegno – ovvero il classico squilibrio tra sforzi profusi e ricompensa – possono rappresentare una sorta di fattore di rischio aggiuntivo per chi ha responsabilità professionali.

Pensate solo che, seguendo quasi 6.500 colletti bianchi (in prevalenza donne) con un’età media di 45 anni e senza storia pregressa di cardiovasculopatie, i ricercatori hanno visto come chi ha dichiarato stress lavorativo o squilibrio tra sforzo e ricompensa ha presentato nel tempo un incremento di rischio del 49% di malattie cardiache rispetto a chi non aveva problemi di questo tipo al lavoro. Ancora: la tensione emotiva e la sensazione di non essere apprezzati per l’opera che si svolge incrementerebbe anche il rischio di fibrillazione atriale. Lo dice un’altra ricerca, coordinata da Xavier Trudel dello stesso ateneo, apparsa su ‘Journal of American College of Cardiology’.

Il richiamo degli specialisti, quindi è semplice. Cerchiamo di identificare gli stress psicosociali sul lavoro, anche per migliorare il benessere del singolo e l’organizzazione. “Lo stile di vita di professionisti e professioniste che occupano ruoli dirigenziali o di responsabilità, spesso scandito da ritmi intensi che li espongono a stress continuo e ad abitudini non salutari, può influire sul rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, perché ha un impatto sul cuore – commenta Giovanni Esposito, direttore del Dipartimento Scienze Cardiovascolari presso l’Università Federico II di Napoli – L’individuazione di stili di vita scorretti spesso condivisi dalla classe dirigenziale, e la consapevolezza di come questi possano avere un costo in termini di salute, rappresentano il primo passo per adottare strategie di prevenzione cardiovascolare”.

Il nemico numero uno, si sa, è lo stress. Ma a prescindere dal suo impatto sulla psiche, a volte rimuoviamo quanto può comportare sul fronte della salute di cuore e arterie. “Questo elemento, se persistente nel tempo, rappresenta un importante fattore di rischio per cuore e vasi: secondo le linee guida della Società europea di cardiologia (Esc) sulla prevenzione, lo stress è associato con un modello dose-risposta allo sviluppo e alla progressione di malattie aterosclerotiche cardiovascolari, in maniera indipendente dal genere o da fattori di rischio convenzionali – fa sapere Esposito – Sono almeno due i meccanismi: in primo luogo incide sull’attivazione del sistema nervoso simpatico che porta a un incremento della pressione arteriosa, d’altro canto stimola il midollo osseo e il rilascio di cellule infiammatorie, che a loro volta portano all’infiammazione aterosclerotica e alle sue conseguenze, ovvero allo sviluppo di placche e, potenzialmente, di trombi”.

Se questi meccanismi di base sono importanti, ci sono altre condizioni stress-associate che in qualche modo vanno a influire sul possibile rischio per cuore e vasi. Costretti a nottate sul computer o a viaggi ripetuti e senza il giusto defaticamento, complice anche la tensione emotiva, i manager possono perdere il normale ritmo del sonno. E un riposo insufficiente, correlato all’esposizione continuativa a stimoli stressogeni, porta a privazione e disturbi del sonno associati a un aumentato rischio di sviluppare ipertensione e aritmie cardiache. “Un riposo insufficiente altera il ritmo circadiano, influenzando negativamente la regolazione della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca – segnala Esposito – Uno studio apparso sul ‘Journal of the American College of Cardiology’ ha dimostrato che dormire meno di sei ore a notte aumenta del 20% il rischio che si verifichi un infarto. Ma anche per chi esagera la situazione non è certo migliore, con un rischio che cresce del 34%. Ricordiamo sempre che le linee guida Esc raccomandano una durata del sonno ottimale di almeno sette ore”.

Se il lavoro rende tesi o richiede particolare attenzione, peraltro, capita anche di affidarsi a strategie che in qualche modo possono dare la sensazione (erronea) di aiutarci a stare in forma. E così, come del resto riportano le classiche vignette del dirigente rappresentato alla scrivania ripiena di scartoffie qualche anno fa, si rischia di ricorrere alla sigaretta o esagerare con i caffè per mantenere la mente attiva. Per cuore e arterie, può essere un problema. “L’incremento relativo del rischio cardiovascolare a cui è esposta la classe dirigenziale può passare anche per il ricorso frequente a valvole di sfogo quali il fumo o un consumo eccessivo di caffè – conclude l’esperto – Il tabacco contribuisce allo sviluppo di malattie cardiovascolari attraverso vari meccanismi: riduce l’apporto di ossigeno al cuore, aumenta la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, danneggia la parete interna dei vasi, provoca vasocostrizione o spasmi arteriosi e favorisce la formazione di placche e trombi nei vasi sanguigni. Questi effetti accrescono significativamente il rischio di ictus e infarto. Quanto alla caffeina, sebbene in quantità moderate possa avere effetti positivi, un suo eccesso può causare un aumento della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca e della produzione di cortisolo. Le linee guida Esc suggeriscono che il consumo di nove o più caffè al giorno si associ ad un incrementato rischio di mortalità per malattie cardiovascolari che arriva fino al 25%”.

Occhio al metabolismo

Alcune abitudini alimentari, soprattutto se associate a sedentarietà, possono portare allo sviluppo della sindrome metabolica. L’analisi di Giovanni Esposito.

Non c’è tempo e allora, tra ritmi serrati e scadenze incombenti, spesso ci si dimentica di quanto siano importanti una regolare attività fisica e soprattutto l’alimentazione, sia sul fronte quantitativo che sotto l’aspetto della scelta dei nutrienti.

“Capita che i professionisti e i manager (e non solo loro) sacrifichino un pasto salutare ricorrendo a soluzioni ‘time-saving’ come fast food o snack ricchi di zuccheri e grassi saturi – sottolinea Esposito – Queste abitudini alimentari, soprattutto se associate a sedentarietà, possono portare allo sviluppo della sindrome metabolica, una condizione caratterizzata da obesità addominale, ipertensione arteriosa, alti livelli di trigliceridi, bassi livelli di colesterolo Hdl (‘colesterolo buono’) e insulino-resistenza. La sindrome metabolica aumenta esponenzialmente il rischio di malattie cardiovascolari e di diabete mellito di tipo 2”. Consiglio finale: ricordate l’esercizio fisico moderato della durata di almeno 150 minuti ogni settimana, il controllo dei valori di pressione arteriosa, colesterolo, peso corporeo e una dieta equilibrata ricca di frutta, verdura, cereali integrali e grassi sani, come quelli presenti nel pesce e nell’olio extravergine d’oliva.

 

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