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Il ministro Anna Maria Bernini disegna il futuro degli atenei italiani

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Velasco25 Articolo

Una formazione universitaria di qualità, garantita sempre e a tutti. Quello che il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini definisce “il vero target da raggiungere” è sicuramente un obiettivo ambizioso. Per avvicinarlo, servono misure concrete: l’incremento del 20% delle borse di studio per le studentesse che scelgono le materie Stem va in questa direzione. E tocca una questione sulla quale, secondo Bernini, serve l’impegno di tutti: c’è un cambiamento culturale da realizzare, “al quale nessuno dovrebbe sottrarsi”. Le sfide dell’università italiana però non finiscono qui. Ci sono i fondi del Pnrr, che “gli atenei devono dimostrare di aver saputo spendere bene” e la rivoluzione prodotta dall’intelligenza artificiale, per cui sarà necessario “prevedere la domanda di nuove figure professionali sempre più specializzate”. Senza tralasciare l’internazionalizzazione e la cooperazione scientifica con gli altri Paesi.

Per cominciare, preferisce essere chiamata ‘ministro’ o ‘ministra’?

Guardi, la parità sta anche nelle parole, ma non solo. Declinare le cariche al femminile può essere utile, oltre che corretto dal punto di vista della lingua italiana. Purché non ci si limiti alla superficie, alla sola forma. Comunque preferisco essere chiamata Anna Maria.

Il Governo si è impegnato a favorire l’accesso delle donne alle materie Stem. Quali sono le misure adottate per avere più ingegneri, fisici e matematici donne?

Ci sono bias cognitivi che noi donne per prime alimentiamo.
Ci lasciamo convincere di non essere tagliate per alcuni percorsi, ma non è così. Serve l’impegno di tutti per superare questi pregiudizi. Stiamo intervenendo innanzitutto con l’orientamento. Anche per questo abbiamo istituito una settimana dedicata alle Stem, nel mese di febbraio. Abbiamo poi messo in campo interventi incentivanti come l’incremento del 20% delle borse di studio per le studentesse che scelgano queste discipline. Ma, ripeto, questa è solo una piccola parte di quel cambiamento culturale al quale nessuno dovrebbe sottrarsi.

Il Mezzogiorno rischia di essere tagliato fuori da ricerca e innovazione? Se sì, come evitarlo? 

In realtà c’è un Sud dell’alta formazione e della ricerca che è protagonista in Italia e in Europa. Nel Mezzogiorno ci sono alcuni degli atenei più antichi, con indicatori di performance molto competitivi. A fare la differenza, oggi, è la loro capacità di fare rete e di essere promotori dell’innovazione. Due esempi: a Napoli c’è il Centro nazionale sull’agritech che si sta occupando di fare ricerca in accordo con le imprese per un’agricoltura sostenibile. A Palermo c’è il Centro sulla biodiversità. Non parliamo più del Mezzogiorno d’Italia. Ma del cuore del Mediterraneo.

Lei è stata più volte in Africa, nell’ambito del Piano Mattei, per siglare accordi di cooperazione scientifica. Qual è la strategia alla base del suo impegno in tal senso?

L’Italia è il ponte naturale dell’Europa con l’Africa. Abbiamo di fronte un continente giovane, ricco di risorse naturali, con economie vivaci e con docenti e ricercatori brillanti. Il futuro del mondo è qui. Con il Piano Mattei abbiamo proposto un metodo, basato su una collaborazione alla pari. Da qui la sigla di numerosi accordi per uno scambio di saperi, non solo di risorse. Sono stata in Tunisia, Algeria, Marocco, Libia e sarò presto in Egitto e in Kenya. Portiamo innovazione e conoscenze dove altri portano armi e azioni predatorie.

Le risorse del Pnrr possono produrre sui nostri atenei cambiamenti significativi e a lungo termine. A che punto siamo?

Al giro di boa. Gli atenei devono dimostrare di aver saputo spendere bene le risorse ricevute. Dall’edilizia alla formazione, non c’è settore che non abbia potuto beneficiare di questa straordinaria iniezione di energia. Vincerà la sfida del cambiamento chi avrà saputo indirizzare i fondi nella giusta direzione. Il Piano nasce perché la ‘next generation’ non paghi i ritardi che hanno dovuto subire i nostri studenti durante la pandemia. Il vero target da raggiungere è un’università che sappia garantire la qualità della formazione sempre e a tutti.

Quanto possiamo diventare attrattivi per gli studenti stranieri?

Lo siamo già. Soprattutto per l’Afam, l’Alta formazione artistica, musicale e coreutica. Accademie e conservatori attraggono tanti studenti stranieri, quasi 14.400 solo lo scorso anno accademico. Anche gli atenei del Sud sono diventati polo d’attrazione per studenti provenienti da quell’area che viene definita ‘Mediterraneo allargato’. L’internazionalizzazione è un tema nodale.
Con il Pnrr abbiamo investito nelle Reti transnazionali educative e in progetti specifici per le Afam. Abbiamo poi pubblicato, con il ministero degli Esteri, un piano strategico per dare maggiori opportunità di mobilità a studenti, docenti e ricercatori sia in uscita che in entrata nel nostro Paese.

La rivoluzione in atto dovuta all’intelligenza artificiale va però governata. Come si stanno muovendo le università italiane?

Anticipando il cambiamento. Istituendo nuovi corsi. Facendo entrare l’intelligenza artificiale anche in quelli esistenti. Cercando di prevedere la domanda di nuove figure professionali sempre più specializzate.

Filosofia e AI oggi si studiano insieme. Il futuro è nell’ibridazione dei saperi.

Lei vanta un lungo passato nell’orbita di Silvio Berlusconi. Qual è la principale lezione che le ha trasmesso?

Non la definirei una lezione, ma un approccio alla vita. Puntare sempre al massimo, non rinunciare a un progetto, a un sogno. Per lui non esisteva un piano in alternativa. C’era un unico piano per il quale non si dovevano risparmiare energie. Credeva nelle persone. Le sapeva valorizzare, ascoltare. Conoscerlo è stato un privilegio. Essere una persona di sua fiducia un onore.

Con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi è in corso una svolta culturale per un Paese spesso indietro sui diritti delle donne?

La svolta culturale ci sarà quando la nomina di una premier donna non farà più notizia. O quando le Ceo donne saranno tante quanto gli uomini. Sul piano della parità dei diritti molto è stato fatto, ma con Giorgia Meloni c’è stato un passo in avanti di qualità, anche nella comunicazione. C’è la dimostrazione di come essere donna non sia un impedimento. Come del resto non lo è essere madre e lavoratrice. Anzi, può rappresentare un valore aggiunto. E questo credo sia il messaggio più importante di una società che cambia.

 

 

 

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