Un gesto semplice. Quando entriamo in un ambiente buio, per vedere cosa abbiamo intorno accendiamo la luce. Traslate questo semplice atto quotidiano nella complessità impercettibile dei neuroni, mescolate con le realtà dell’optogenetica, aggiungete un pizzico di “ingrediente” capace di attivare il tutto. Probabilmente, in questo modo giungerete a farvi un’idea molto semplice di un procedimento complesso che potrebbe “accendere” le cellule nervose di una determinata area cerebrale, diventando un potenziale strumento di cura futuro per patologie neurodegenerative.
L’ipotesi, descritta su NeuroImage, viene dagli studiosi dell’Università di Rochester guidati da Manuel Gomez-Ramirez (primo nome Emily Murphy), che lavora presso il Del Monte Institute for Neuroscience dell’ateneo. In pratica nella ricerca si dimostra come si possa puntare sull’optogenetica bioluminescente (definita con l’acronimo BL-OG) per attivare i neuroni cerebrali.
Si accende quindi una luce, non solo metaforica seppur impercettibile, sulle future possibilità di regolare l’attivazione cerebrale. E si può ipotizzare un futuro in cui procedure invasive come la stimolazione cerebrale profonda, utilizzate per trattare il morbo di Parkinson e altre condizioni neurologiche, potrebbero essere associate a tecniche di questo tipo. O forse, anche ad essere sostituite da esse.
Insomma, la luce può diventare un alter ego di quello che si ottiene, in casi selezionati con la “neurochirurgia funzionale”. Questo approccio si propone infatti di identificare un “bersaglio” nel cervello, un centro nervoso ritenuto responsabile dei sintomi, e di raggiungerlo mediante strumenti in grado di modificarne l’attività modulandone il funzionamento e ottenendo, così, un miglioramento complessivo dello stato clinico del paziente.
In questo senso fra gli interventi più innovativi va segnalata la Stimolazione Cerebrale Profonda (Deep Brain Stimulation-DBS), che è oggi la procedura chirurgica più avanzata per ridurre i sintomi legati ai disturbi del movimento (Parkinson, Distonia, Tremore Essenziale). La DBS prevede l’introduzione nel cervello di un piccolissimo elettrodo, collegato a un generatore d’impulsi impiantato sottocute. Gli impulsi elettrici arrivano a stimolare la specifica area del cervello e favoriscono una migliore trasmissione dei segnali dal cervello all’intero organismo, riducendo buona parte dei sintomi.
Cosa potrebbe cambiare? In sintesi, questa nuova tecnica può creare l’attivazione cerebrale senza impiegare un dispositivo impiantato nel cervello per fornire una luce fisica. E allora, ecco la ricetta. Si comincia con l’optogenetica, una tecnica di ricerca consolidata che usa la luce per attivare o disattivare le cellule nel cervello. Il secondo strumento è la bioluminescenza, la stessa reazione chimica che dà a una lucciola il suo splendore, che fornisce la luce di cui l’optogenetica ha bisogno per funzionare. Combinando questi strumenti si crea il materiale necessario per BL-OG.
Ma non è finita. Perché bisogna “accendere” la luce. Ci pensa una sostanza dal nome emblematico: luciferina. Si combina con la bioluminescenza, crea una luce che attiva l’optogenetica e modula la risposta cellulare nel cervello senza un’incisione. Il tutto, senza effetti collaterali perché la luciferina chimica non ha particolari azioni sull’organismo. Nei topi, il procedimento pare funzionare, a partire dall’inserimento di BL-OG in una regione cerebrale predeterminata. Poi iniettando la luciferina in vena, si è “acceso” il sistema. Risposta sull’animale: gli effetti BL-OG si instaurando rapidamente, a patto di monitorare attentamente il dosaggio della luciferina. verificano rapidamente nel cervello, ma che questi effetti potrebbero essere controllati ridimensionando il dosaggio della luciferina nell’animale.
C’è ancora strada da fare insomma. Ma l’ipotesi di lavoro è affascinante anche perché andiamo su vie non invasive, senza rischio di infezioni o altro. Accendere una luce sui neuroni “spenti” potrebbe aiutarci in futuro. E molto. Con una strategia diversa da quelle farmacologiche o di altro tipo. Per una nuova frontiera dell’approccio alla neurodegenerazione.