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Tra rendite catastali e tabù fiscali, ecco spiegato il senso della Melonomics

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Velasco25 Articolo

L’annuncio del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sui “sacrifici” richiesti a quanti hanno ristrutturato le proprie abitazioni grazie al Superbonus 110 percento ha fatto storcere il naso più a sinistra che a destra. È uno dei paradossi dei nostri tempi. Qualcuno ha evocato una sorta di “nemesi”, considerando il giudizio negativo che Giorgetti e, in generale, il Governo Meloni hanno sempre dato dei vari bonus edilizi per i loro effetti nefasti sulla tenuta dei conti pubblici. In realtà, se guardiamo in filigrana la manovra che sta prendendo forma, emergono chiaramente i capisaldi della “Melonomics”, vale a dire la politica economica del Presidente del Consiglio.

Anzitutto, la prudenza sui conti pubblici. Niente colpi di testa, prevale la volontà di aderire alle nuove norme del Patto di stabilità accettandone gli inevitabili corollari: margini di indebitamento ristrettissimi e necessità di individuare coperture, il più possibile, di carattere strutturale. In secondo luogo, in una linea di sostanziale continuità, il Governo intende concentrare gran parte delle risorse per sostenere i redditi medio-bassi, cioè per dare di più a chi ha meno. È un’impostazione in linea con la “destra sociale”, che è anche un riflesso della storia politica della premier. Da qui l’impegno a confermare il taglio del cuneo contributivo sui redditi lordi fino a 35mila euro e la revisione degli scaglioni Irpef (a cui si aggiungono i capitoli destinati a sanità e natalità). Il ministro Giorgetti, se da una parte deve ammettere che difficilmente nell’anno in corso la crescita toccherà l’1 percento, dall’altra può annunciare che il taglio del cuneo fiscale sarà strutturale (non più una tantum).

Si apre poi il capitolo delle coperture. In pochi ricordano che già la legge di bilancio per l’anno in corso impone la revisione delle rendite per chi ha ottenuto il Superbonus, un obbligo ribadito da una circolare – la 13/E/2024 dello scorso 13 giugno – in forza della quale i contribuenti avrebbero dovuto segnalare loro stessi all’Agenzia delle Entrate la modifica delle caratteristiche dei propri immobili per procedere alla revisione. C’è motivo di pensare che in molti non lo abbiano fatto.
Appare ragionevole che un Governo determinato a detassare i redditi per aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori intenda spostare la tassazione dal lavoro alla rendita. Oltre alla famigerata “voragine” nei conti pubblici, il Superbonus ha generato una ingiustizia sociale: tanti italiani, proprietari di seconde case e, in qualche caso, di castelli, si sono ristrutturati le magioni a spese di milioni di contribuenti che non risultano possessori neppure della prima abitazione. Non si comprende allora l’opposizione della sinistra che critica addirittura l’estensione della flat tax e la revisione degli scaglioni Irpef perché remerebbero contro il principio di progressività della tassazione. Come si può contrastare una manovra che dà di più a chi ha meno? O che chiede ai “fortunati” del Superbonus di rivedere al rialzo le rendite catastali? Se gli immobili hanno acquisito valore, è giusto che i proprietari paghino di più.

C’è poi il capitolo spinoso delle entrate. Dall’opposizione è arrivata un’unica traccia di lavoro nell’apertura della segretaria Pd Elly Schlein che ha scandito le fatidiche parole: “La patrimoniale non è un tabù”. In realtà, la leader progressista si riferisce a una ipotesi di lavoro, a Bruxelles, per una “super tassa” a livello europeo.

Ora, al di là della effettiva praticabilità (vi immaginate i Ventisette che concordano su una medesima tassa sui patrimoni?), il progetto di una imposta di questo tipo, seppure adottata da cinque o dieci Paesi, non eliminerebbe l’effetto “fuga dei capitali” verso i “paradisi” privi della tagliola fiscale. Di patrimoniali il Governo Meloni invece non vuol sentir parlare: è un totem per il centrodestra, quasi quanto la difesa della casa. Perciò, tra via XX Settembre e Palazzo Chigi, i tecnici lavorano alacremente per individuare entrate alternative con alcune certezze: in primo luogo, i numeri record del gettito derivante dalla lotta all’evasione fiscale (quasi 25 miliardi nel 2023); ci sono poi i “nuovi lavoratori”, circa 30-40mila al mese (500mila in un anno, secondo i calcoli Istat), che oltre a far lievitare il tasso di occupazione a livello record rappresentano anche una platea di nuovi contribuenti. Nel primo semestre del 2024 le entrate tributarie dello Stato sono aumentate del 7,5 percento rispetto all’anno precedente, grazie all’incremento dell’Irpef e ai controlli fiscali. E poi c’è il concordato preventivo biennale che pure darà i suoi frutti, insieme alla revisione al rialzo delle rendite catastali per gli immobili “apprezzati” dal Superbonus. Nessun pasto è gratis, Milton Friedman aveva proprio ragione.

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