Dimenticate per decenni dagli studi scientifici, le donne sono protagoniste di una nuova stagione della ricerca. Perché la medicina del futuro è declinata al femminile (come anche il rischio di numerose patologie).
L’emicrania? Un problema al femminile: colpisce cinque donne per ogni uomo. Va ancora peggio per la fibromialgia, condizione che crea fortissimi dolori, in cui il rapporto può arrivare anche a uno a sei. Si cambia solo di poco per l’artrite reumatoide. Chiamatela come volete, insomma. Ma la differenza di genere esiste. E non solo per le patologie. La ricerca, dopo anni in cui gli studi clinici erano sostanzialmente destinati a reclutare soprattutto uomini, con una bassissima presenza di pazienti di genere femminile, sta facendo passi avanti continui per eliminare questo bias. Basti pensare alle linee di indirizzo per l’applicazione della Medicina di genere nella ricerca e negli studi preclinici e clinici, approvate solo qualche mese fa dall’Osservatorio dedicato alla tematica.
Nell’introduzione al documento si chiarisce come “sia importante considerare nella ricerca pre-clinica e clinica gli aspetti relativi sia al sesso, cioè quelli di natura più squisitamente biologica (espressione genica sesso-specifica), sia al genere, con riferimento agli aspetti psico-sociali, culturali ed economici che differenziano uomo e donna nella percezione di una determinata società”. Così si fa e si farà sempre meglio fronte all’esclusione o alla ridottissima rappresentazione delle donne dagli studi di valutazione di una terapia. Per dare risposte su misura, riducendo il rischio di diagnosi errate o magari di dosaggi non proprio ottimali di farmaci studiati sull’organismo maschile. Sul fronte della prevalenza di alcune patologie, peraltro, le differenze di genere pesano. Eccome se pesano. E non solo per patologie come la sindrome di Sjogren, il Lupus eritematoso sistemico (Les), le malattie autoimmuni della tiroide e la sclerodermia, che presentano una frequenza anche fino a 7-10 volte più elevata nelle donne rispetto agli uomini. Pensate: la depressione tende quasi a raddoppiare nel genere femminile, con un trend che sale nei primi anni dell’età riproduttiva. Persino nella popolazione più anziana il numero di persone depresse continua ad essere più elevato tra le donne.
I motivi? La predisposizione genetica, la vulnerabilità a eventi stressanti nella vita, la risposta alla fluttuazione degli ormoni sessuali e – non ultimo – il ruolo sociale, che riversa sulle spalle delle donne una serie di fatiche e responsabilità ormai considerate veri e propri fattori di rischio. Anche per i disturbi d’ansia, peraltro, si assiste ad un trend simile. Sul fronte della neurodegenerazione, peraltro, la medicina di genere appare fondamentale. Nel campo delle malattie del sistema nervoso centrale, per esempio, la malattia di Parkinson tende ad essere più frequente negli uomini che nelle donne, mentre nell’Alzheimer le proporzioni si invertono. E la donna rischia di più, presentando spesso un quadro con caratteristiche diverse, segnato più frequentemente da disturbi del linguaggio mentre negli uomini sono più diffuse le comorbilità e si rileva un maggiore deterioramento della sfera comportamentale. Ma le grandi differenze, per una percezione davvero errata, si vedono anche nelle dinamiche metaboliche e cardiovascolari. Le donne che soffrono di diabete presentano probabilità ben più elevate dei maschi di sviluppare una malattia coronarica, oltre che di incorrere in un ictus. Probabilmente questo rischio, ancora poco considerato, è legato all’azione di cofattori, come la dislipidemia o l’ipertensione, che potrebbero avere un ruolo più incisivo nel genere femminile.
Ma esiste sicuramente un fattore culturale che va considerato: si continua a ragionare come se l’ombrello estrogenico dell’età fertile rappresenti uno scudo impenetrabile per cuore e vasi. Ed è vero. Gli ormoni proteggono, ma non per sempre. Se nel corso della vita riproduttiva il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari è più basso nella donna rispetto all’uomo, dopo la menopausa la protezione scompare. E, soprattutto, spesso i quadri delle patologie circolatorie possono essere ben più seri. Anche perché ci si dimentica che può essere sufficiente che una donna fumi un terzo delle sigarette di un uomo per avere lo stesso impatto su cuore e arterie. O ancora, vista la più elevata incidenza di obesità e di sindrome metabolica nel sesso femminile, cresce di molto anche il rischio di malattie coronariche.
Continuando in questo “Bignami” della medicina di genere, peraltro, c’è da ricordare l’andamento bifasico dell’asma: prima della pubertà gli uomini sono colpiti due volte più delle coetanee. Dopo lo sviluppo sessuale, questa differenza scompare. Anzi, tra le donne adulte l’asma è più frequente che negli uomini. Il sorpasso sarebbe dovuto anche agli ormoni: gli estrogeni, infatti, regolano il rilascio di diverse sostanze proinfiammatorie (citochine) coinvolte nello scatenarsi della reazione asmatica. Un ultimo esempio, in gastroenterologia. Nella donna i calcoli della colecisti si sviluppano con una predisposizione legata all’azione degli ormoni: il progesterone riduce la motilità della colecisti, mentre gli estrogeni aumentano nella bile la quantità di colesterolo che compone i “sassolini”.