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Auto elettriche senza batterie? Quanto pesano i guai di Northvolt sui piani Ue

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Velasco25 Articolo

Northvolt ha chiesto la bancarotta per una delle sue filiali: quella che si occupa dell’espansione della capacità di produzione della fabbrica di batterie di Skelleftea in Svezia, lo stabilimento più importante della ex startup indicata negli scorsi anni punta di diamante della riscossa europea nel settore delle batterie elettriche, fondamentale per l’energia e l’automotive del continente.

Con questa decisione si limitano gli impatti per il Gruppo, composto da una ventina di unità diverse. Northvolt Ett Expansion AB – che non ha dipendenti – è la denominazione della società dedicata al progetto di espansione svedese sospeso dal Gruppo un mese fa per mancanza di fondi. Il fallimento, ha dichiarato un portavoce della società, è stata l’unica opzione possibile.

Ora l’obiettivo è proteggere il resto della società (un processo di finanziamento sarebbe in corso) ma non sembra un compito facile, considerando anche l’annuncio di 1.600 licenziamenti in Svezia arrivato nelle scorse settimane: 1.000 di quei licenziamenti sono proprio a Skelleftea, lo stabilimento principale zona mineraria del Paese, 200 km a sud del Circolo polare artico.

 

La mappa completa delle gigafactory pianificate al 2030, Courtesy T&e

 

Cosa significa lo stop per le batterie europee

Le difficoltà di Northvolt – fondata dall’italiano Paolo Cerruti e da Peter Carlsson – non nascono ora: fondamentale è stata la decisione di Bmw di ritirare un contratto importante (due miliardi di dollari) per affidarlo a un fornitore coreano. Intanto sono stati cancellati o rinviati i piani per lo sviluppo di materiali per le batterie e quelli per il riciclo, con un centro di ricerca negli Usa chiuso e i piani di sviluppo di nuove fabbriche che potrebbero subire ritardi, mentre anche i finanziamenti del National Debt Office svedese probabilmente non arriveranno, visto lo stop all’espansione nel Paese.

Ma cosa significa lo stop al progetto di Northvolt per l’industria delle batterie in Europa e, indirettamente, per quella delle auto elettriche? “Il segnale è indubbiamente quello di una battuta di arresto”, spiega a Fortune Italia Andrea Boraschi, direttore di T&E Italia. “L’azienda è colpita, per quanto non nella sua interezza. Una situazione che si inscrive in un quadro generale dello stato di avanzamento delle batterie in Europa” non particolarmente felice.

A guardare la mappa dei progetti di Gigafactory stilata da T&E e aggiornata a maggio scorso, Northvolth avrebbe raggiunto nel 2031 una capacità da 60 GWh in Svezia e da 60 Gwh in Germania; per questo secondo impianto i lavori sono iniziati la scorsa primavera anche dopo l’intervento da quasi un miliardo della Commissione europea.

In tutto, la capacità di produzione al 2030 prevista da T&E per Northvolt era quindi di 120 Gwh sui 1700 previsti per tutta l’Europa. Una quota che non sembra eccessiva. Ma che ora è in pericolo. E che è comunque significativa, soprattutto se si considera che secondo i dati T&E pubblicati recentemente, il 59% della produzione di batterie prevista per l’Europa è a rischio, il che significherebbe perdere miliardi di investimenti e quasi 100.000 potenziali posti di lavoro.

Su Northvolt – oltre alle perdite miliardarie e alle prospettive  negative per il destino dell’intero Gruppo – va poi ricordata l’interruzione della produzione di catodi fondamentali per le batterie: i materiali catodici, si spiega in un report T&E, sono componenti chiave che determinano il voltaggio delle batterie agli ioni di litio e rappresentano il 55% del costo delle batterie stesse.

Tolta Northvolt, rimangono solo tre impianti che il producono, in Europa: uno in Polonia e due in Germania. Stesso discorso per il progetto di riciclo dei materiali: cancellato quello svedese, ne rimangono solo quattro in Europa.

A guardare i piani iniziali l’espansione della fabbrica in Svezia avrebbe portato la capacità di produzione annua a 60 Gwh, mentre per ora può raggiungere al massimo 16 Gwh (e lo scorso anno la produzione non ha raggiunto neanche 1Gwh). Negli annunci iniziali Northvolt puntava a una capacità in tutti i suoi impianti da 150 GWh nel 2030.

Le gigafactory solo sulla carta

Ai problemi europei, oltre al rallentamento del mercato delle auto elettriche, si aggiunge il tema delle forniture da Oriente. Per questo T&E ha invitato la Commissione europea a valutare l’implementazione di dazi anche sulle batterie – a patto che i target sulle emissioni non vengano spostati, come chiesto recentemente dall’associazione europea dei costruttori.

T&E ha chiesto un’indagine dell’UE sulla produzione cinese di celle per batterie, analoga a quella svolta per i veicoli elettrici.

Quello degli impianti di batterie ‘solo sulla carta’ è un problema enorme per l’Europa. Gli impianti entrati in funzione rappresentano solo il 17% del potenziale produttivo stimato al 2030. “Se prendiamo tutta la capacità produttiva già realizzata e quella in predicato, un 15% circa è in costruzione; abbiamo mappato un 10% di progetti che appaiono molto solidi per linee di finanziamento e localizzazione dei progetti”, spiega Boraschi.

“Lo scenario non è semplice. In Europa abbiamo le tariffe di import sulle batterie più basse del mondo, appena sopra l’1%. Ci prepariamo ad alzare i dazi su import di auto elettriche con tariffe anche superiori al 30%, ma intanto su una tecnologia critica non solo per le auto (l’impiego per le batterie sarà sempre più ampio nel settore energetico) non ci curiamo della filiera di approvvigionamento”. Insomma se da una parte, come nel caso di Northvolt, l’Unione è impegnata in uno sforzo industriale, dall’altra è estremamente “esposta a livello di mercato”.

Aumentare i prezzi delle batterie complicherebbe la vita dei produttori auto? “Dipende”, dice Boraschi. “È vero che con la transizione dobbiamo conseguire il maggiore abbattimento delle emissioni nel minor tempo possibile, ma non si possono dimenticare 14 mln di lavoratori del settore automotive in Europa. Se gli impatti sociali ed economici della transizione fossero troppo onerosi rischiamo che le politiche sul clima vengano completamente smantellate, che è quello che bisogna evitare. Il problema è che si devono fare due cose: proteggere in misura giusta la nostra industria mentre si continua a stimolarla. Di sicuro, se spostiamo di un paio di anni i target sulle emissioni, ci ritroveremo esattamente nelle stesse identiche condizioni”.

La mappa europea e il ritardo italiano

I progetti per la realizzazione di Gigafactory sono comunque molti – ed evidenziano il ritardo italiano. Cancellato il progetto Italvolt, nel nostro Paese rimangono solo due gigafactory: una già operativa (l’impianto Faam) e una solo su carta: quella a Termoli resa possibile da una jv (Automotive Cells Company) tra Stellantis, Mercedes e TotalEnergies.

Anche questo progetto è stato messo in standby. Lo stesso Ad di Stellantis Carlos Tavares ha spiegato che con il rallentamento del mercato delle auto elettriche è stato necessario un rinvio dei progetti della jv in Germania e Italia, mentre procede quello in Francia. La sintesi migliore forse è proprio quella dell’Ad: se non si vendono auto elettriche, non sono necessarie le batterie.

Nell’immagine in evidenza l’impianto svedese di Northvolt – courtesy Northvolt

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