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Il piccolo invertebrato marino alleato contro Alzheimer e Parkinson

Botrillo
Adyen Articolo
Velasco25

Vive nella Laguna Veneta e ha un nome simpatico e accattivante l’alleato contro Alzheimer e Parkinson che non ti aspetti. A catturare l’attenzione degli scienziati che indagano su queste malattie neurodegenerative è un invertebrato: il Botryllus schlosseri. Il botrillo, assicurano i ricercatori delle Università di Padova e di Milano, è un perfetto “laboratorio” di studio per far luce sui meccanismi alla base di queste patologie. E per testare approcci – anche non farmacologici – in grado di proteggere il cervello. E questo davvero farebbe la differenza, come spiegano gli autori dello studio pubblicato su ‘Brain Communication’.

Numeri da record

Facciamo un passo indietro: secondo le stime l’1% delle persone oltre i 60 anni, nei Paesi industrializzati, è affetta dal morbo di Parkinson e si prevede che saranno 113 milioni nel 2050 i soggetti con diverse forme di demenza, tra cui appunto l’Alzheimer.

“Le malattie neurodegenerative e l’invecchiamento cerebrale rappresentano una sfida importante della medicina, anche considerato l’aumento della durata della vita media e la necessità di un invecchiamento sano”, evidenzia Alberto Priori, docente di Neurologia del Dipartimento di Scienze della Salute all’Università degli Studi di Milano, coordinatore ricerca.

Il botrillo

A complicare lo studio di questi fenomeni è la disponibilità per i ricercatori di modelli biologici semplici e ripetibili. Il botrillo “riassume l’invecchiamento e la degenerazione dei suoi neuroni nel giro di pochi giorni con una omogeneità genetica che consente, a basso costo, la valutazione di diversi stimoli ambientali, farmacologici e fisici non solo da un punto di vista genetico ma anche metabolico. Credo che gli studi sul botrillo – aggiunge Priori – ci potranno fornire preziose informazioni su meccanismi alla base di malattie neurodegenrative come quella di Alzheimer e quella di Parkinson solo per citare quelle più note”.

Il botrillo si riproduce sia in modo sessuato (dando origine a una larva a forma di girino che nuota) che asessuato (gli individui della colonia generano gemme geneticamente identiche grazie ad un processo di gemmazione). Proprio grazie alla comparsa di nuove gemme e alla contemporanea morte degli individui vecchi, nel botrillo troviamo fasi di vita ricorrenti, in cui le colonie ringiovaniscono settimanalmente. Una finestra preziosa, spiegano i ricercatori, per far luce sui ‘talloni d’Achille’ di Alzheimer e Parkinson. Ma in che modo?

Come il cervello

Il botrillo “è davvero speciale”, afferma Lucia Manni del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, coordinatrice ricerca. “Forma colonie in cui ciclicamente gli animali adulti, che si dispongono a raggera come dei piccoli fiori, degenerano simultaneamente. In laboratorio, questo succede ogni settimana e ci dà la possibilità di studiare ripetutamente la degenerazione del cervello”.

Non solo: mentre gli adulti degenerano, ci sono dei nuovi individui che li vanno a sostituire, perciò, accanto a cervelli che degenerano, ce ne sono altri (le gemme) che contemporaneamente si sviluppano. Le gemme in crescita non vengono “contaminate” dalla degenerazione dei loro genitori, anche se condividono lo stesso sistema circolatorio.

Uno scudo contro la neurodegenerazione

“Questo ci dà la possibilità di studiare anche i meccanismi che possono proteggere i cervelli in formazione dalla neurodegenerazione. Se si considera poi che le colonie possono vivere in Laguna un paio di anni, possiamo anche confrontare la neurodegenerazione in colonie giovani e vecchie”, illustra la scienziata.

Questo invertebrato è di per sé un “modello a invecchiamento rapido” che permette di studiare la neurodegenerazione con cadenza settimanale e nello stesso ambiente genetico, cioè in individui identici come gemelli.

In questo invertebrato, inoltre, i neuroni in degenerazione presentano caratteristiche morfologiche e cause di morte cellulare proprio come avviene nelle malattie neurodegenerative umane causate, ad esempio, da un errato ripiegamento delle proteine. L’amiloidogenesi, ovvero la formazione di depositi proteici extracellulari che provoca la morte neuronale nell’Alzheimer, è un processo fisiologicamente attivo anche nel botrillo.

La conferma arriva da un altro elemento. “L’invertebrato esprime un alto numero di geni che codificano per proteine coinvolte nelle malattie neurodegenerative umane”, sottolinea Chiara Anselmi del Dipartimento di Biologia, Università di Padova, prima autrice. “Questi geni sono espressi in modo differente nelle diverse fasi della vita del botrillo e sono associati a un peggioramento dell’abilità di rispondere agli stimoli esterni e a una diminuzione del numero dei neuroni, man mano che l’animale si avvicina alla fase di degenerazione”.

Neurostimolazione sotto il microscopio

Insomma, grazie al botrillo i ricercatori puntano a una migliore comprensione di ciò che accade, sin dalle prime fasi di malattia, nella neurodegenerazione umana, ad esempio nella malattia di Alzheimer o nel Parkinson.

Ma vogliono anche “investigare l’effetto di metodiche di neurostimolazione non invasive come la terapia neuroprotettiva, in grado di modificare il decorso di malattia sin dalle sue prime fasi, caratteristica questa che sarebbe unica rispetto a tutte le altre terapie, farmacologiche e non, presenti al momento e di fatto meramente sintomatiche”, conclude Tommaso Bocci, ricercatore di Neurologia del Dipartimento di Scienze della Salute della Statale di Milano e primo autore della ricerca.

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