Mi occupo di relazione con i cittadini e i consumatori da oltre 20 anni. In questo periodo ho vissuto ascesa e declino di diversi modelli, tecnologie e prassi. Il che ha contribuito all’evoluzione del settore spingendolo verso un limite oltre il quale si può vedere il suo rovescio, il paradosso di un servizio che non serve più. O il cui ruolo non è percepito, sfruttato e valorizzato in modo adeguato alle sue potenzialità. Mi spiego.
Le due caratteristiche principali del customer care sono utilità del servizio offerto agli utenti e beneficio economico del servizio reso alle aziende. Si può discutere su come declinare il concetto di utilità (tempestività, accuratezza, predittività, customizzazione, completezza, rapidità ed efficacia), così come si può discutere di quale sia il maggior beneficio economico (saving dei costi o ampliamento dei ricavi, awareness e ascolto della customer base), ma il punto è: esistono ancora le condizioni culturali, tecnologiche e di mercato che formano il contesto informazionale e operativo dal quale il customer care trae ragione e scopo? Oppure siamo cambiati così profondamente che per quanto ci si sforzi di curvare il servizio sui bisogni e sulle aspettative individuali, per ognuno di noi si tratta di una presenza invasiva, ingombrante e inutile? Se guardiamo alle attività tradizionali come la gestione di un reclamo, il recupero di pin e password, le informazioni commerciali e persino forse alcuni temi di assistenza tecnica, è empirico notare che il self care, il passaparola online, il know how digitale stratificato nel confronto quotidiano con prodotti tra loro simili rappresentano una scelta più veloce e piacevole rispetto all’interazione con un consulente, oggi appesantita dalle lentezze tecnologiche e di privacy che, in modo controintuitivo ma reale, fanno tutto fuorché garantire l’esperienza frictionless promessa.
Di contro, proprio come avviene in tutti gli ambiti intrappolati nella propria fase crepuscolare, lo sforzo di chi presiede e disegna nuovi touchpoint e servizi è volto ad arricchire e ampliare oltre misura le attività e gli ambiti di intervento. I modelli del Service 2 Sale così come quelli più ambiziosi incentrati sulle data platform tendono a imitare l’evoluzione organizzativa ed economica degli Ott, basati sul lock-in verticale in stack, forzando il consumatore in un comportamento non naturale e asimmetrico il cui solo beneficio è garantito dall’effetto di riduzione della dissonanza e dalla connessa impressione di “risparmiar tempo”.
Quando nei primi anni 2000 l’accesso a un pc connesso a internet era una prerogativa dei consulenti telefonici più che dei cittadini italiani, il modello della customer centricity era forse molto più compiuto di oggi: qualcuno chiamava e qualcuno operava o distribuiva informazioni a lui precluse. L’intelligenza artificiale generativa è l’ultimo passo di un percorso che ha spostato dal centro – il contact center – ai margini – l’individuo – la capacità di governo del contesto informazionale e operazionale. Quando questa capacità di governo – e di potere – subisce una radicale decentralizzazione, le strutture centrali sono svuotate di senso e funzione. È la disintermediazione, in cui la customer centricity non può più darsi come obiettivo di un servizio, poiché l’empowerment tecnologico e culturale del customer lo ha reso, per lo più, indipendente.
Tuttavia ciò non equivale a dire che il mondo dei servizi è morto, solo che è in trasformazione.
Una trasformazione radicale che parte dal mantra della customer centricity – l’ascolto – procede lungo la strada dell’innovazione di modelli e servizi, seduce il mercato e incrocia cambiamenti strutturali necessari, come per esempio un contratto ad hoc e una legge per far coincidere le regole di gioco con il nuovo perimetro degli ambiti presidiati. Se fino a oggi l’obiettivo è stato quello di declinare il servizio, ora c’è lo spazio per inventare, coniugare e far funzionare servizi del tutto nuovi, per costruire intorno al customer una rete di connessioni e comunicazioni che ne facilitino la crescita, l’espressione e il successo. Qualche esempio. Invece di usare l’AI per estrarre insight di valore da cluster di clienti energy al fine di modellizzare un’offerta su misura, possiamo usare l’AI per individuare i prosumer di un territorio e calcolare la miglior distribuzione dell’energia tra punti di una comunità energetica. Un altro esempio, di natura diversa. L’AI generativa garantisce la forma di sintesi delle informazioni più potente mai avuta, ma non è altrettanto performante in quanto a selezione e verifica. Ciò significa che non c’è modo di essere certi della veridicità delle sue risposte. Quando queste risposte influenzano una scelta, l’inattendibilità delle informazioni diventa un problema. Al contrario, i processi di formazione, la certificazione delle competenze, l’esperienza e molti altri fattori concorrono a rendere molto attendibili i consulenti di un contact center. La loro funzione potrebbe quindi essere quella di verifica delle scelte individuali così come di verifica delle risposte statisticamente più rilevanti date da un motore, mediante assegnazione di open badge e altri strumenti digitali di misurazione. Si configurerebbe così un modello di servizio integrato – che è anche un modello di business integrato dove il committente non è più solo il Brand ma anche il provider tecnologico o la Big Tech che possiede gli algoritmi. Si intravede qui un ruolo di mediazione particolarmente adatto allo scenario prossimo venturo fatto di intelligenze artificiali che comunicano tra di loro mediante protocolli M2M. La disintermediazione è infatti un processo (quasi) inarrestabile e la domanda oggi non è se, ma quando anche i singoli individui perderanno la capacità di scelta a beneficio del proprio avatar digitale iperconnesso e degli algoritmi di matching e raccomandazione cablati nei dispositivi IoT.