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Nike, il nuovo Ceo segna un ritorno ai vecchi valori del brand

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Velasco25 Articolo

Quando si è diffusa la notizia del trionfale ritorno di Elliott Hill in Nike come nuovo Ceo, ho subito pensato a Shoe Dog, il libro di memorie del suo fondatore Phil Knight. Ai tempi in cui ero direttore della gestione dei talenti dell’azienda, il libro veniva distribuito a tutti i dipendenti.

Nel libro Phil spiega cosa lo ha spinto a creare uno dei marchi di maggior successo al mondo. Certo, da giovane aveva l’obiettivo di costruire una famiglia e fare soldi, scrive. “Ma nel profondo cercavo qualcos’altro, qualcosa di più. Avevo la sensazione dolorosa che il nostro tempo sia breve, più breve di quanto si possa immaginare, breve come una corsa mattutina, e volevo che il mio fosse significativo. E propositivo. E creativo”. Poi, all’improvviso, “ho visto tutto davanti a me, esattamente quello che volevo che fosse la mia vita. Giocare. Sì, ho pensato, è così. Questa è la parola. Il segreto della felicità”.

Un’etica che Knight ha instillato in tutta l’organizzazione. Soprattutto, ciò che ha spinto le persone di Nike a lavorare sodo, a sperimentare e a innovare è il senso condiviso del significato del lavoro. Negli anni successivi, quando ho lavorato altrove (pur rimanendo un azionista Nike), ho visto lo stesso fenomeno in diverse aziende. Così, per la mia tesi di dottorato presso l’Università della Pennsylvania l’anno scorso, ho esplorato decine di studi. La mia conclusione? Il lavoro significativo, più di ogni altra misura, ha il maggiore impatto potenziale sulla motivazione e sulle prestazioni dei dipendenti.

Le difficoltà di Nike negli ultimi anni hanno rispecchiato questo concetto. John Donahoe è stato scelto come Ceo nel 2018 (l’anno dopo che ho lasciato l’azienda, quindi non ho lavorato con lui). Gli è stato riconosciuto il merito di aver contribuito a espandere gli sforzi digitali di Nike e di aver guidato il marchio nei primi giorni della pandemia. Ma è anche chiaro da tempo che la sua scelta ha sacrificato il senso di condivisione che sta alla base dell’azienda.

È arrivato come un outsider con esperienza nel settore tecnologico e nella consulenza manageriale, ma non nel settore Nike o in ciò che rappresenta. Sebbene il suo background e le sue aree di specializzazione lo abbiano preparato a prendere decisioni strategiche su alcune questioni importanti, non hanno fatto nulla per renderlo qualcuno in grado di rappresentare e diffondere l’ethos di Nike all’interno.

Il presidente esecutivo di Nike, Mark Parker, ha alluso alla necessità di questo tipo di correzione di rotta nell’annunciare il nuovo piano di successione di Hill. “L’esperienza globale, lo stile di leadership e la profonda conoscenza del nostro settore e dei nostri partner, uniti alla passione per lo sport, i nostri marchi, i prodotti, i consumatori, gli atleti e i dipendenti, fanno di Elliott la persona giusta per guidare la prossima fase di crescita di Nike”, ha dichiarato Parker.

La menzione di “partner” è fondamentale. Come parte degli sforzi di Donahoe per ridurre i costi, Nike avrebbe interrotto i rapporti con molti dei suoi grossisti, creando un’opportunità per i concorrenti di entrare in quegli spazi lasciati liberi.

Non si è trattato di una decisione sbagliata solo per ovvie ragioni commerciali. Quando si interrompono i rapporti con le persone che hanno avuto un ruolo nelle attività di un’azienda, il lavoro può sembrare meno significativo per coloro che sono ancora lì. Nella mia ricerca ho scoperto che ciò che rende significativo il lavoro non è solo il purpose dell’azienda, ma anche il senso di comunità che le persone sviluppano con coloro che sono i compagni di squadra che inseguono una vittoria comune.

I licenziamenti in azienda hanno sicuramente avuto un effetto simile. Il senso di comunità si dissipa e le persone diventano più distaccate, come è stato ribadito dal personale licenziato nelle dichiarazioni rilasciate ai media.

L’arrivo di Hill offre a Nike l’opportunità di rimediare a tutto questo. Il personale di Nike ha festeggiato la notizia non appena è stata diffusa. I dipendenti stanno già dando segnali di speranza. Se il team è simile a quello che ho supervisionato una volta – e credo che lo sia – allora non sperano solo in un miglioramento delle vendite e in un’impennata delle azioni a Wall Street. Sperano anche di sentirsi di nuovo bene in quello che fanno ogni giorno: ciò che fanno è significativo, utile e creativo. È così che il lavoro diventa gioco e che la felicità si radica all’interno di un’azienda.

L’articolo originale è disponibile su Fortune.com

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