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Suicidio: l’identikit del rischio in Italia e le parole salvavita

suicidio prevenzione

Adolescenti tra i 12 e i 17 anni, ma anche detenuti, anziani che hanno perso il partner di una vita, persone con difficoltà economiche. Gli identikit dei soggetti a rischio suicidio sono diversi, ma hanno elementi in comune: l’isolamento e la presenza di una patologia trattabile, ma vissuta in silenzio. Soprattutto, dicono gli specialisti, a togliere la speranza è l’idea di essere in un tunnel, in cui non ci siano alternative. Eppure le parole giuste possono salvare una vita. Perchè il suicidio “si può prevenire”, sottolinea ancora una volta Maurizio Pompili, ordinario di Psichiatria della Sapienza di Roma e direttore di Psichiatria all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea, presentando la campagna di sensibilizzazione “Parlami di Te”.

“Ce lo dice la ricerca: chi tenta il suicidio vorrebbe essere salvato. Dobbiamo lavorare insieme – dice Pompili, che da anni si batte a questo scopo – per costruire un ambiente in cui ogni persona si senta ascoltata e supportata. È essenziale aumentare la consapevolezza, sia nella comunità scientifica che nella popolazione generale, che il suicidio è un fenomeno che si può prevenire”.

Dati in aumento

Secondo i dati più recenti, in Italia nel 2021 sono stati registrati 3.870 suicidi, a fronte dei 3.748 del 2020, con un incremento generale che riguarda tutte le fasce d’età (a eccezione dei 50-64enni), ed è più elevato tra gli under 49. Morti evitabili, dicono gli specialisti. Ebbene, tra i giovani tra i 15 e i 34 anni la crescita dei suicidi nel 2021 è stata del 16%. Si stima inoltre che i tentativi di suicidio siano circa 10 volte più frequenti. E anche in questo caso si tratta di persone particolarmente vulnerabili: possono ritentare. Ecco allora che nel raccontare questo fenomeno “andrebbero evitati titoli cubitali o a effetto e non andrebbe evidenziata un’inesorabilità di questa scelta”, avverte lo specialista.

Le parole giuste e i segnali di allarme

Isolamento sociale, sbalzi d’umore, difficoltà scolastiche improvvise, silenzi, insonnia, autolesionismo. Esistono dei segnali ‘spia’ da non sottovalutare: potrebbero salvare la vita delle persone. Pensiamo poi che il suicidio è una delle principali cause di morte tra i giovani di 15-29 anni, e in Italia si è osservato un aumento del 75% negli ultimi due anni. Anche per questo Éthos Srl, con il contributo non condizionante di Angelini Pharma, ha annunciato il lancio della campagna di sensibilizzazione “Parlami di Te”.

“Parlami di Te”

Attraverso messaggi sui social media, la campagna mira a creare una rete di supporto e ascolto capace di raggiungere chi è in difficoltà. Un’iniziativa per “ampliare il dialogo sulla prevenzione del suicidio e porre l’attenzione sui segnali di allarme spesso trascurati”, dichiara Michela Procaccini, Direttore Medico di Angelini Pharma.

La campagna si rivolge sia a chi soffre di disturbi psichiatrici come depressione, disturbo bipolare e schizofrenia, sia alle persone a loro vicine, che possono svolgere un ruolo chiave nel fornire supporto. “È nostra responsabilità, come azienda dedicata alla salute mentale, sostenere e incoraggiare le persone a cercare l’aiuto di cui hanno bisogno”, puntualizza Procaccini. “Vogliamo trasmettere un messaggio positivo e ricordare a tutti che non sono soli nelle loro difficoltà”.

“La prevenzione tra i giovanissimi è una delle nostre massime priorità,” sottolinea Nathalie Falsetto, Core Products Medical Lead di Angelini Pharma e Responsabile del Progetto di Sensibilizzazione. “È essenziale intervenire precocemente, fornendo ai giovani e alle loro famiglie il supporto e gli strumenti necessari per riconoscere i segnali di disagio e agire tempestivamente”.

Gli stessi operatori sanitari hanno un ruolo cruciale nel riconoscere i segnali premonitori del suicidio. I medici di famiglia rappresentano spesso il primo punto di contatto per le persone a rischio. Grazie al rapporto di fiducia che instaurano con i pazienti, possono identificare precocemente sintomi di disagio psicologico e indirizzare le persone verso cure specialistiche.

L’ombra dello stigma

“Dobbiamo fare chiarezza: esiste un protocollo per la rilevazione del rischio. Ma non possiamo prevenire ciò che non comprendiamo – avverte Kelly Posner Gerstenhaber, professoressa di Psichiatria alla Columbia University e Fondatrice del Columbia Lighthouse Project – È fondamentale che tutti siano informati sui segnali di allarme e su come offrire supporto più appropriato. Una corretta informazione sui segnali di allarme e sulle strategie di intervento può fare la differenza fra la vita e la morte. Ma se il 90% dei soggetti morti per suicidio aveva una patologia trattabile, il 75% non era in cura. E questo per colpa dello stigma”.

Lo stigma, insomma, è come un muro: rafforza il silenzio “e impedisce di chiedere aiuto. Dobbiamo creare una cultura di apertura e supporto”, dice ancora Pompili. Come ricorda Marco Innamorati, professore Ordinario di Psicometria presso l’Università Europea di Roma, “essere preparati a riconoscere e arispondere ai segnali di pericolo è essenziale per prevenire il suicidio”. Mentre, al contrario, il silenzio uccide.

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