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L’Italia, con Fitto, nella testa di comando dell’Ursula bis

C’è poco da fare: Raffaele Fitto vicepresidente esecutivo della Commissione europea è una vittoria dell’Italia. E di Giorgia Meloni. Per i gufi che dipingevano un’Italia ai margini, isolata in Europa e nel mondo, è una doccia fredda. Sarebbe stato auspicabile condurre questa partita all’insegna di uno spirito nazionale forte e coeso, a sostegno del candidato italiano designato (che ora dovrà affrontare le audizioni con le commissioni del Parlamento Ue), invece abbiamo visto esponenti dell’opposizione trincerarsi dietro i “vediamo” e i “forse”. Chi ha anteposto il colore della maglia politica a quello della nazionale ha commesso un errore.

Per fortuna, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha voluto riconoscere all’Italia e ai Conservatori il ruolo politico che meritano in Europa, indipendentemente dalle logiche di schieramento. È vero che la Francia e la Spagna hanno ottenuto portafogli più sostanziosi (rispettivamente le politiche industriali e la concorrenza), ma l’Italia può comunque fregiarsi di una delega assai rilevante su coesione e Pnrr. Senza aggiungere che Raffaele Fitto, democristiano doc, capace di maneggiare questioni di primaria grandezza con l’abilità del politico e la scrupolosità dell’amministratore, in qualità di vicepresidente avrebbe anche la responsabilità del coordinamento e supervisione dei dossier dell’economia reale, agricoltura, pesca e trasporti in testa.

Si dolgono, comprensibilmente, socialisti, liberali e verdi che speravano in un “monocolore”, o quasi, dopo aver perso le elezioni europee. Ne escono ridimensionati da una presidente, von der Leyen, che non intende ignorare l’esito del voto popolare e sembra propensa ad attuare una politica “dei due forni” costruendo maggioranze variabili a seconda dei dossier sul tavolo. Von der Leyen, in questo secondo term, sta dimostrando una maggiore assertività, da bossy woman: conferma agli Affari economici un super falco, paladino della austerity, come il lettone Dombrovskis (bad news per i Paesi sotto procedura di infrazione come il nostro); durante la conferenza stampa di presentazione della squadra ricorda che intorno ai Conservatori e Riformisti (ECR) non c’è il “cordone sanitario” riservato all’estrema destra; licenzia, di fatto, il francese Breton – uno che malsopportava la tendenza accentratrice della Signora tedesca – facendosi inviare dall’Eliseo il più mite Séjourné (già marito dell’ex premier Attal che poi, al governo, lo ha nominato Ministro degli Esteri). Anche la circostanza che molte deleghe siano spacchettate tra più commissari – per esempio il Clima – conferma la volontà “presidenziale” di avere un controllo diretto sui dossier e di depotenziare le figure intermedie (difficilmente nel nuovo collegio potrà esserci un nuovo Timmermans).

A riprova che ECR non sia isolato in Europa è sufficiente ricordare che il Parlamento europeo ha due vicepresidenti Conservatori su 14 (uno su sei, nella Commissione, riflette lo stesso schema). Quattordici commissari appartengono al Partito popolare europeo (come Lady von der Leyen, del resto). Insomma, la Commissione che verrà potrebbe sorprenderci. Per conoscerne l’effettiva configurazione, toccherà attendere alcune settimane. Fitto, che da ministro ha svolto uno straordinario lavoro per consentire al nostro Paese di accedere alle risorse del Pnrr nei tempi stabiliti, potrà dare lustro all’Italia anche a Bruxelles. Per superare le forche caudine del Parlamento, toccherà perfezionare le competenze linguistiche tenendo a mente che Rocco Buttiglione, aspirante commissario, fu bocciato nel 2004 non per il suo inglese (peraltro ottimo) ma per le sue idee sulla donna e sull’omosessualità. È una partita che ci terrà con il fiato sospeso fino all’ultimo.

Leadership Forum
Paideia

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