GILEAD
Leadership Heade
Cerca
Close this search box.

Una questione di stoffa, intervista al maestro sarto Armando Rubino

Entrare nell’atelier di Armando Rubino, al primo piano di un palazzo in via Frattina, nel cuore di Roma, è come fare un salto nel passato. Nel suo laboratorio regna la cura delle cose di una volta. Tra fili, spilli e scampoli di stoffe pregiate, si respira il senso della parola ‘artigianato’. “Creare qualcosa con le mani, questo vuol dire essere artigiani”, spiega con la precisione della semplicità il padrone di casa, sarto dall’età di 13 anni.

“Sono arrivato dalla Sicilia che ero solo un ragazzo. Lavoravo da Zenobi, in via dei Condotti: ero il primo ad entrare in laboratorio e l’ultimo ad uscire, perché quando il principale tagliava volevo essere lì”. Seduto su una poltrona del suo laboratorio, sempre lo stesso da 50 anni, il Maestro Rubino inizia così il racconto della sua carriera. Figlio di siciliani, il padre sarto a sua volta, ha scelto la professione della vita praticamente da bambino. “Ho deciso di scappare lontano da casa, come tanti in cerca di fortuna. Roma mi ha accolto ed io ero la persona più soddisfatta e contenta della città, anche se magari la sera dovevo decidere se mangiare il primo o il secondo”. Dopo qualche anno passato a fare la spola tra i laboratori delle principali vie romane del centro, per Rubino iniziano i primi incontri con il mondo dello spettacolo. “In laboratorio ho conosciuto Gina Lollobrigida, Sofia Loren, Marcello Mastroianni, reggevo gli spilli e quando lo raccontavo nessuno mi credeva”. Tra i divi italiani però ce n’è uno che ha segnato la strada di Rubino. Quando ne parla la voce trema e gli occhi si inumidiscono. “Vittorio De Sica era la persona più elegante del mondo, avrebbe potuto mettersi addosso qualsiasi cosa. E poi era gentile. Quando andavamo da lui si preoccupava sempre che mi offrissero del cioccolato”. Con un piccolo salto in avanti, finiamo a parlare di Luca Zingaretti nei panni del commissario Montalbano. Pare sia stato proprio lo stesso attore a constatare: “Maestro Rubino, le sue forbici hanno regalato al commissario quell’eleganza che gli mancava”.

A ventiquattro anni Rubino riesce a mettersi in proprio e da lì, grazie alla perizia sviluppata stando a contatto con i migliori sarti italiani dell’epoca, ottiene i primi riconoscimenti. “Avevo un rapporto di lavoro con Battistoni, che ho mantenuto per oltre 35 anni. Con lui ho iniziato a viaggiare e insieme abbiamo servito, per moltissimo tempo, l’emiro di Doha. Adesso continuo a confezionare abiti anche per suo figlio”.

Il discorso si sposta così, inevitabilmente, sui leader politici italiani che si sono rivolti alla Sartoria Rubino. “Ho vestito Draghi sì, ma anche Berlusconi. Mi ricordo che aveva bisogno urgentemente di uno smoking, che realizzai in pochi giorni e poi gli feci provare a Palazzo Grazioli. Anche di quella giornata conservo bellissime sensazioni: mi regalò un libro con una dedica, lo tengo ancora qui in atelier”.

Sui suoi ultimi clienti poi aggiunge: “Ultimamente mi è capitato di lavorare per Fabio Panetta, il governatore della Banca d’Italia. Anche con lui ho un ottimo rapporto, ne apprezzo la gentilezza”.

Il segreto di tutto questo successo, che supera i confini del Paese, Rubino lo rintraccia non solo nella passione che mette nei suoi abiti, ma anche nella serietà con cui dice di aver sempre affrontato il lavoro. “La cosa che più mi dispiace è non riuscire a trovare manodopera da formare. Capisco che ora ci siano vari corsi per imparare il mestiere, ma per me la vera scuola si fa in bottega, come una volta”. Al momento, in laboratorio, sono solo in cinque: “Ce la facciamo, anche se a volte mi è capitato di dover rifiutare il lavoro. Per quanto mi riguarda, è qui che voglio stare, smettere di cucire è qualcosa che non tengo neanche in considerazione”.

A questo punto, una domanda su come si confezioni un abito a regola d’arte diventa obbligatoria. “Bisogna scolpirlo addosso al cliente, in modo che il capo sia elastico e morbido. Inoltre, la qualità delle materie prime è fondamentale: gli abiti che confeziono durano anni senza rovinarsi e non hanno nulla a che vedere con quelli prodotti in serie. Sono proprio cose diverse”. A conferma di quello che dice, mi mostra un tessuto piacentino di vicuña, una tra le fibre più pregiate al mondo e preferite dagli arabi: è perfetto.

Ci lasciamo con qualche piccola curiosità sul modo in cui i clienti trattano gli abiti appena acquistati. “Gli attori mi sembra siano fin troppo abituati ai bei vestiti, mentre gli arabi sono precisi e hanno una cura particolare dei capi che indossano. Il peggio che mi sia capitato? Un cliente che si sedette sopra la giacca di lino appena consegnata. Gli piaceva la stoffa vissuta, ma per me fu difficile assistere a quella scena. Avrei potuto non stirarla almeno”,
dice ridendo.

 

 

Leadership Forum
Paideia

Leggi anche

Ultima ora

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.