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Mano robot controllata coi magneti: è italiana la prima protesi

La robotica italiana fa scuola nel mondo. L’ultima arrivata è una protesi di mano hi-tech, mossa attraverso speciali magneti inseriti nei muscoli, in grado di regalare una sensazione estremamente naturale a chi la indossa. “È come muovere la propria mano”, ha assicurato Daniel, un ragazzo italiano di 34 anni che ha potuto indossare la protesi per 6 settimane. Proprio la naturalezza era l’obiettivo del team della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa che ha realizzato la prima protesi al mondo a controllo magnetico.

Un team di cui fa parte anche Marta Gherardini, ricercatrice della Scuola Superiore Sant’Anna e prima autrice dello studio sulla nuova protesi, pubblicato su ‘Science Robotics’. “L’idea, partita con un progetto finanziato dal Consiglio europeo della ricerca (Erc) con 1,5 mln di euro, era quella di trovare una strategia di controllo della protesi che fosse molto selettiva, andando a prendere i segnali chiave dall’interno del muscolo, ma utilizzando elementi che non richiedessero fili che uscissero dalla pelle o che fossero alimentati da una batteria”, spiega a Fortune Italia Gherardini, uno dei giovani ‘cervelli’ più promettenti d’Italia selezionati per la lista 40Under40 2024.

Un momento del test, al centro Marta Gherardini/Credits: 2024 Scuola Superiore Sant’Anna

Il primo paziente

La novità in questo caso sta nel sistema adottato, che permette di controllare una mano robotica, tornando a compiere azioni precise come aprire un barattolo, prendere una monetina o usare un cacciavite.

“Questo risultato corona un percorso di ricerca lungo decenni. Siamo finalmente riusciti a sviluppare una protesi funzionale alle esigenze di una persona che ha perso una mano”, ha detto Christian Cipriani, professore ordinario presso l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e coordinatore del team che ha firmato il progetto. Un lavoro che non finisce qui: “Si è conclusa con successo la sperimentazione sul primo paziente. Ora – assicura Cipriani – siamo pronti a estendere questi risultati su una casistica più ampia di amputazioni”.

La storia

Daniel ha perso la mano sinistra nel settembre del 2022. È stato scelto come volontario perché sentiva ancora la presenza della sua mano ‘fantasma’ e i muscoli residui del braccio rispondevano alle intenzioni di movimento. Nell’aprile del 2023 è stato sottoposto a un intervento chirurgico per impiantare i magneti nel suo braccio presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, grazie alla collaborazione di un team coordinato dal dottor Lorenzo Andreani dell’Unità operativa Ortopedia e Traumatologia 2, da Manuela Nicastro della sezione Anestesia e rianimazione ortopedia e centro ustioni, e da Carmelo Chisari, della sezione Neuroriabilitazione.

La mano

Una curiosità: gli scienziati hanno utilizzato una ‘vecchia’ conoscenza dei nostri lettori, la mano robotica Mia-Hand, sviluppata dallo spin-off Prensilia. Questa protesi è stata integrata con il nuovo sistema di interfaccia tra il braccio residuo della persona amputata e la mano robotica, appunto, che prevede l’impianto di piccoli magneti nei muscoli dell’avambraccio, per  decodificare le intenzioni motorie.

I magneti

Chiave del progetto, dei micro magneti delle dimensioni di qualche millimetro. “I magneti sono delle calamite e non hanno bisogno di un’alimentazione, di una sorgente di energia. Uno dei vantaggi principali di questa tecnologia sta proprio nel fatto di inserire solo elementi molto piccoli, attraverso una chirurgia mini-invasiva. Gli altri componenti dell’interfaccia restano all’esterno”, spiega Gherardini.

“Ci sono 20 muscoli nell’avambraccio e molti di questi controllano la mano – dice Cipriani – Molte persone dopo l’amputazione continuano a sentire la mano come se fosse ancora al suo posto e i muscoli residui si muovono in risposta al comando che arriva dal cervello”. Così il team ha mappato i movimenti e li ha tradotti in segnali per controllare la mano robotica. Quando il muscolo si contrae, spiegano gli scienziati, il magnete si muove e uno speciale algoritmo traduce questo cambiamento in un comando specifico per la protesi.

L’intervento

Come racconta Lorenzo Andreani, “una delle sfide più complesse è stata l’identificazione dei muscoli residui nella zona dell’amputazione, selezionati con precisione tramite le immagini della risonanza magnetica e dell’elettromiografia preoperatorie, anche se poi le condizioni effettive del tessuto a causa di cicatrizzazioni e fibrosi hanno richiesto un adattamento intraoperatorio.
Nonostante queste difficoltà – continua Andreani – siamo riusciti a completare l’impianto e a stabilire le connessioni: un successo impossibile senza la collaborazione di un team eccezionale, che ringrazio”.

Nel braccio di Daniel sono stati impiantati in tutto sei magneti. Dopo una settimana di recupero, il giovane ha potuto indossare e provare la mano robotica. La sperimentazione è durata sei settimane. “Essendo la prima volta al mondo, volevamo valutare con attenzione la sicurezza di questa strategia – precisa Gherardini – Il tempo di apprendimento è stato minimo e la procedura è stata molto naturale”.

I test

I risultati, alla fine, sono andati oltre le previsioni degli scienziati. Daniel è riuscito a controllare i movimenti delle dita, ha raccolto e spostato oggetti di forme diverse, ha compiuto azioni come aprire un barattolo, usare un cacciavite e un coltello, chiudere una zip, scambiare una stretta di mano. Ed è stato in grado di controllare la forza quando ha dovuto afferrare oggetti fragili. La protesi “mi ha permesso di recuperare sensazioni ed emozioni perdute: è stato come muovere di nuovo la propria mano”, testimonia il giovane.

“Lavorare insieme a Daniel ha concretizzato nel nostro gruppo la consapevolezza che possiamo fare molto per migliorare la sua vita e quella di molte altre persone. È questa la motivazione che ci spinge a fare sempre meglio” dice Gherardini.

protesi mano Sant'Anna
Daniel sperimenta la mano bionica/Credits: 2024 Scuola Superiore Sant’Anna

I prossimi passi

E adesso? “Vogliamo allungare i tempi ed estendere la sperimentazione con più impianti e di lunga durata”, aggiunge la ricercatrice.

“Siamo pronti a estendere questi risultati a una casistica più ampia di amputazioni. Il lavoro sul nuovo impianto sta andando avanti grazie a finanziamenti europei e nazionali. Tra questi – puntualizza Cipriani –  il progetto MYTI, finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca, che punta alla traslazione clinica dell’interfaccia che abbiamo sviluppato; il progetto Fit For Medical Robotics, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca, e le collaborazioni che abbiamo da anni con Inail Centro Protesi”. Con l’obiettivo di offrire finalmente ai pazienti amputati soluzioni più agili, precise e intelligenti. Oltre che Made in Italy.

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