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Dalla terra del Gattopardo, la storia di Donnafugata

Quando le truppe napoleoniche entrano trionfali a Napoli, nei primi anni dell’Ottocento, alla regina asburgica Maria Carolina, consorte di Ferdinando IV di Borbone, non resta altra scelta che riparare in Sicilia. Sarà poi Giuseppe Tomasi di Lampedusa, nel suo Gattopardo, a cristallizzare la memoria della regina in fuga, designando col nome di Donnafugata i possedimenti terrieri del Principe di Salina. Ma se il Gattopardo ha finito per diventare la quintessenza del trasformismo, dell’apparente propensione al cambiamento affinché tutto rimanga immutato nella sostanza, oggi Donnafugata è “un’azienda familiare in moto perpetuo” – come si legge sul loro sito – e propensa a una incessante innovazione.

“L’impegno della mia famiglia nel vino ha origini antichissime, precede l’Unità d’Italia e abbraccia molte generazioni”, racconta l’Ad Antonio Rallo, agronomo e appassionato winemaker, oggi al timone dell’azienda insieme alla sorella José. “Ma è solo nel 1983 che Giacomo e Gabriella, i miei genitori, danno vita a un progetto nuovo focalizzato sulla qualità e l’innovazione”. L’avventura imprenditoriale di Donnafugata muove i primi passi tra i vigneti di Contessa Entellina e le storiche cantine di famiglia di Marsala, nel cuore della Sicilia occidentale, per poi approdare a Pantelleria nel 1989.

Nell’isola ‘figlia del vento’ la vite di Zibibbo si coltiva con l’antico sistema dell’alberello pantesco, su terrazzamenti sorretti e cinti da muretti a secco in pietra lavica, una pratica agricola che per la sua originalità è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio culturale immateriale dell’umanità nel 2014. Nasce così il Ben Ryé, il pregiato Passito di Pantelleria, frutto di un processo produttivo innovativo e sartoriale. La conca in cui viene coltivata la vite vince le condizioni climatiche avverse, proteggendo la coltivazione dal forte vento e consentendo l’accumulo di acqua piovana, in un territorio che si caratterizza per la scarsità delle precipitazioni. “Ci siamo innamorati della natura estrema dell’isola – sottolinea Rallo – e abbiamo scelto di abbracciare la sfida della viticoltura eroica, tanto impegnativa quanto gratificante”.

Le colline di Contessa Entellina sono invece la patria del Mille e una Notte, un rosso iconico “voluto con lungimiranza da mio padre Giacomo e da Giacomo Tachis, l’uomo che ha segnato la storia dell’enologia italiana”, sottolinea l’Ad. Fra le sue tenute Donnafugata annovera anche quelle di Vittoria, nel ragusano, dove nascono il Cerasuolo e il Frappato, “rossi dallo stile contemporaneo molto apprezzati soprattutto dai più giovani”. Infine i vigneti sul versante settentrionale dell’Etna, dove la terra esprime tutta la sua potenza. “Qui la viticoltura ci regala dei vini fedeli all’anima vulcanica del territorio: i blend e i cru dell’Etna, le cui mineralità ed eleganza hanno conquistato i palati degli appassionati e della critica internazionale”.

La sostenibilità concorre a pieno titolo a forgiare l’identità di Donnafugata. “Sin dagli esordi abbiamo adottato un approccio attento alla gestione delle risorse naturali, al fine di ridurre l’impatto della viticoltura sull’ambiente”, spiega Rallo. “Non facciamo uso di diserbanti chimici e la concimazione è solo organica. Abbiamo capannine che ci consentono di monitorare in tempo reale i parametri agro-metereologici, trappole smart che misurano lo sviluppo di insetti e sensori per valutare il fabbisogno idrico delle piante”. Nel 2021 l’azienda aderisce a SOStain, il programma di sostenibilità per la viticoltura siciliana che persegue gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

I dati raccolti ed elaborati con l’intelligenza artificiale “ci aiutano a prevenire l’insorgenza di malattie della vite, favorendo la produzione di uve sane e ben mature”, chiarisce Antonio, la cui passione per il vino affonda le radici nel passato di un’infanzia trascorsa fra botti e filari. “Da bambino passavo i pomeriggi in cantina. Dopo aver fatto i compiti, mio nonno mi dava il permesso di scorrazzare per i campi. Sono cresciuto fra le botti e ho iniziato presto a fare le prime vendemmie”. Poi gli studi in Agraria e l’inserimento in azienda, nel 1991. “Appartengo a questo mondo dalla testa ai piedi, inesorabilmente, e ne sono felice. Mi considero molto fortunato: la passione per il mio lavoro mi permette di affrontare con più determinazione le sfide di oggi, dalla produzione alla complessità di un mercato globale sempre più competitivo”, confessa.

 

L’innovazione di Donnafugata non si declina solo nella sostenibilità, ma anche in un raffinato lavoro sul marketing e la comunicazione. Sulle bottiglie dell’azienda campeggiano le etichette d’autore realizzate dall’illustratore Stefano Vitale. “Mia madre l’ha conosciuto negli anni ’90 e sin da allora è lei a ispirare Vitale che disegna l’universo fantastico e femminile della donna in fuga”, dice Rallo. Da ormai trent’anni Donnafugata ha aperto le porte delle sue cantine agli appassionati di tutto il mondo, per condividere e diffondere la cultura del vino con migliaia di persone ogni anno.

Le quattro tenute, con le rispettive cantine di vinificazione, sfornano 3,65 milioni di bottiglie che vengono esportate in oltre 70 Paesi, fra cui Germania, Svizzera, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Giappone. Dai terreni a picco sul mare a quelli collinari, fino alle coltivazioni sull’Etna, con l’eterogeneità delle sue tenute Donnafugata punta “al miglior abbinamento fra terroir e vitigni, per dare vita a vini che rispecchino l’identità dei territori d’origine. Vogliamo farci portavoce della straordinaria ricchezza vitivinicola della Sicilia. Mi piace pensare alla Sicilia come a un mosaico – conclude – e ai nostri vini come ai tasselli che ne raccontano le tante sfumature di colori, sapori e aromi. Vini che regalano un viaggio sempre sorprendente”.

Crediti Foto: Courtesy Donnafugata

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