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Non siamo robot: ecco come battere la disattenzione

Se ogni attrezzo potesse fare il lavoro assegnato non “avremmo apprendisti, operai e schiavi del signore”. Non pensate a una legge moderna della robotica. Siamo intorno al 320 avanti Cristo, quindi in epoca ben lontana dalle macchine moderne. E a pronunciarla, più o meno con queste parole, è stato addirittura Aristotele.

Oggi, più di 2000 anni dopo, ci ritroviamo a considerare il rapporto tra uomo e macchine intelligenti, appunto i robot, sul posto di lavoro. E ci accorgiamo che quando condividono con l’essere umano spazi ed attività, a volte si possono trovare nel mezzo di incidenti produttivi che non nascono da loro, ma piuttosto dalla componente umana che opera al loro fianco. Perché se i robot vengono messi a punto per seguire regole ben precise nel loro ambito operativo, grazie alla programmazione delle loro attività che riducono fino pressoché ad azzerarlo il rischio di errori anche quando la loro opera è ripetitiva e noiosa, per l’uomo la disattenzione va sempre tenuta presente. 

Non siamo robot, viene da dire. E a volte perdiamo la concentrazione. Esponendoci al rischio di errori. Anche e soprattutto se lavoriamo fianco a fianco con la macchina. E allora, perché non puntare proprio sui robot come “controllori” dei possibili errori legati alla disattenzione che fa parte della natura umana quando il lavoro è ripetitivo e noioso?

Ecco. Ci vorrebbe un algoritmo su misura, viene da dire. O se preferite, per dirla con un grande successo di Lucio Battisti “ci vorrebbe un amico”. Ed è proprio un algoritmo che rende il robot fedele “guardiano” dell’uomo che lavora al suo fianco. Quello che viene descritto su IEEE Transactions on Systems Man and Cybernetics Systems, rivista che riporta un originale studio anti-disattenzione condotto dagli esperti coordinati da Mehdi Hosseinzadeh, della Washington State University.

Pensate: nelle simulazioni computerizzate di linee di confezionamento e assemblaggio in cui umani e robot lavorano insieme, l’algoritmo sviluppato per tenere conto della disattenzione umana ha migliorato la sicurezza di circa un massimo dell’80% e l’efficienza di circa un massimo del 38% rispetto ai metodi esistenti.

Gli studiosi, ovviamente, si sono concentrati prima sulla quantificazione della disattenzione umana, studiando quanto e come l’uomo possa non recepire un avviso relativo alla sicurezza. Poi, in qualche modo, con l’algoritmo per il robot hanno cercato di porre rimedio al rischio. In pratica, se la macchina riconosce un comportamento disattento, grazie ad una programmazione su misura è programmata per cambiare il modo in cui interagisce con l’essere umano che agisce in quel modo, lavorando per ridurre la possibilità che la persona possa causare un errore sul posto di lavoro o farsi male. Insomma: il robot potrebbe arrivare a modificare il modo in cui gestisce i suoi compiti per evitare di intralciare l’essere umano. Il tutto, grazie all’AI, aggiornando continuamente il livello di disattenzione e qualsiasi cambiamento che osserva.

Al momento siamo solo in laboratorio. La ricerca parla di un test simulato su una linea produttiva comprendente quattro persone e un robot, oltre a un altro test con due persone “collaboranti” su una linea di produzione con un robot. I primi dati sono interessanti e ora occorre passare alla pratica, dove le variabili umane sono sempre più ampie e personali.

Ma la via è davvero interessante, nell’ambito di un’interazione uomo-macchina sempre più diffusa. E chissà che in futuro il robot “guardiano” non diventi il miglior amico “intelligente” dell’uomo sul posto di lavoro, accorgendosi delle sue distrazioni e proteggendolo. Grazie a un algoritmo. E alla capacità del robot di apprendere.

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Paideia

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