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Una scossa per la motor valley, la storia di Livia Cevolini (Ceo Energica Motor Company)

Energica, come l’indole della founder e Ceo Livia Cevolini, ingegnere che ha sfidato la tradizione e le reticenze della Motor Valley e ha dato vita al primo costruttore di moto elettriche supersportive Made in Italy. Energica Motor Company nasce nel distretto modenese nel 2014 all’interno del Gruppo CRP. Con fatica e determinazione, la startup ha saputo ritagliarsi un ruolo da protagonista nel panorama delle due ruote sportive. “Le sfide complicate mi hanno sempre entusiasmato”, confessa Cevolini.

Com’è nato il suo amore per le moto?

L’amore per le moto ce l’ho sempre avuto, sin da piccola: mi trasmettevano un grande senso di libertà. Sono cresciuta col sogno di percorrere la mitica Route 66 in motocicletta. A diciotto anni però ho fatto un brutto incidente e non ho mai imparato a guidarla. Ma quando si è profilata la possibilità di fondare Energica Motor Company, non ci ho pensato due volte. Ho capito subito che si trattava di una sfida complicata, ma io le difficoltà le ho sempre trovate entusiasmanti.

Quanto è stato difficile coniugare sostenibilità e alte prestazioni per le moto sportive?

Noi venivamo dalle corse e quindi abbiamo scelto di partire da una sportiva, una top di gamma, per dimostrare che anche l’elettrico poteva garantire prestazioni elevate e tecnologia avanzata. Energica ha ereditato il know-how dell’elettrico di CRP Racing e questo ci ha senz’altro aiutato. Il nostro obiettivo era fare un veicolo performante in grado di giocarsela anche con le cugine a benzina. E poi siamo a Modena, nel cuore della Motor Valley, e quindi non potevamo trascurare il design, lo stile, l’attenzione al dettaglio.

Qual è stata l’accoglienza da parte della Motor Valley?

Abbiamo dovuto vincere lo scetticismo che aleggiava attorno alla tecnologia elettrica, legato soprattutto alle prestazioni. La convinzione era che la moto elettrica non potesse essere realmente competitiva. L’accoglienza, in realtà, è stata migliore del previsto. Quando abbiamo organizzato i primi eventi con la comunità dei motociclisti, abbiamo riscontrato interesse e curiosità. È stato quello a convincerci ad andare avanti.

Che clima si respira nella Motor Valley sul passaggio all’elettrico? C’è il timore che una transizione energetica troppo repentina possa mettere in difficoltà il settore?

Il tentativo di rallentare l’applicazione di leggi e decisioni già prese a livello europeo è chiaramente dovuto all’ostracismo di manager che non hanno alcuna voglia di prendersi dei rischi, soprattutto nel breve termine. Si sta cercando di rallentare la transizione per dare il tempo a tutti i player, soprattutto quelli più grandi che sono rimasti indietro, di recuperare e prendersi la loro fetta di mercato. Ciascuno porta acqua al suo mulino, e dal punto di vista imprenditoriale è comprensibile. Ma a livello istituzionale l’inversione di rotta che si sta portando avanti è inaccettabile e sta causando la morte di quasi tutte le startup. Così si bruciano capitali, si perdono posti di lavoro e non si punta su una tecnologia efficiente e dalle prospettive interessanti.

Non crede che con l’elettrico si rischi un’eccessiva dipendenza dalla Cina, che detiene la maggior parte delle terre rare da cui si estraggono i magneti per i motori elettrici?

È una considerazione che mi lascia sempre un po’ perplessa, perché dipendiamo dalla Cina da almeno vent’anni per tutto il resto. Durante la pandemia ne abbiamo avuto un esempio lampante: quando si è fermata la Cina si è fermato il mondo. E poi non ho mai sentito dire che bisognava smettere di puntare sulle auto a benzina perché eravamo dipendenti dall’Arabia Saudita. Il litio si estrae anche in Sud America, in Australia e in altri Paesi.

Dal 2019 al 2022 Energica è stata fornitore unico della MotoE, com’è andata?

Quelli della MotoE sono stati anni importanti, un’occasione per avere visibilità e metterci alla prova dal punto di vista tecnologico. All’inizio è stata dura, eravamo in pochi e bisognava garantire delle prestazioni elevate e soddisfare richieste molto stringenti. Alla fine ce l’abbiamo fatta. Ne abbiamo guadagnato in esperienza e in credibilità nei confronti del pubblico.

Quali sono i vostri principali mercati di riferimento?

Il mercato più importante per noi è quello statunitense, nello specifico California, Texas, Florida, che vale il 40% del fatturato. Il resto è frazionato tra Nord Europa e Asia. Il Nord Europa è un mercato molto aperto all’innovazione tecnologica. L’Asia pure è in crescita, ci sono Stati che hanno messo in campo incentivi importanti per vincere l’inerzia iniziale. L’Italia non è pervenuta, le percentuali di vendita sono bassissime. Non ci sono grandi prospettive di crescita. Purtroppo c’è scarsa informazione e manca una regia centrale che aiuti a prendere decisioni corrette.

 Vi sentite legati al concetto di Made in Italy?

Se siamo rimasti qui è solo perché ci sentiamo Made in Italy: non c’è nessun altro motivo per restare in Italia. Le imprese italiane sono come dei bambini bellissimi a cui invece di tendere la mano si danno dei colpi in testa di continuo. Per riuscire a crescere devi essere molto forte.

Se restiamo nel nostro Paese è proprio per il Made in Italy, inteso come talento, passione e spirito di sacrificio che qui sono superiori alla media. L’unico motivo valido per fare impresa in Italia.

 

 

 

 

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