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L’integrazione dell’AI nel Public Affairs, l’analisi di Maria Cristina Antonucci

L’intelligenza artificiale è ovunque, si sta imponendo in ogni settore ma si parla poco dell’incidenza che avrà nel lobbying.
Oggi si discute ampiamente delle prestazioni dell’intelligenza artificiale nell’elaborazione dei dati, nell’apprendimento automatico, nella generazione di contenuti e nell’implementazione di algoritmi predittivi in ogni settore. Che impatto avrà la sua integrazione in un settore che si fonda sull’analisi e l’utilizzo di informazioni per le elaborazioni di scenario, ma la cui natura è profondamente relazionale? Ne abbiamo parlato con Maria Cristina Antonucci, ricercatrice al Cnr e docente in Comunicazione politica alla Sapienza Università di Roma.

Negli ultimi anni la digitalizzazione è entrata prepotentemente nei processi di Public Affairs. Che impatto avrà l’AI?
Le relazioni istituzionali sono state a lungo ritenute una delle attività professionali più autenticamente legate alla dimensione personale e relazionale, due fattori interni al rapporto con il decisore pubblico la cui natura e la cui rilevanza sono impossibili da sostituire con la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale. Ce ne siamo resi conto nel momento in cui taluni canali di accesso digitale (WhatsApp, Telegram e Signal) hanno semplificato l’accesso ai decisori, in un contesto di relazioni già costruite e fondate su reputazione, competenza e fiducia reciproca. Conseguentemente, come evidenziano importanti studiosi come Charles, Rana, Carter e Bitonti, l’uso di piattaforme di gestione della conoscenza può trasformare profondamente l’attività di lobbying e consulenza purché non si ragioni in termini di competizione persona – macchina, come già accaduto in altre rivoluzioni tecnologiche, ma credendo in una collaborazione integrata, in cui l’AI aggiunge qualità e valore al lavoro umano. Difatti l’intelligenza artificiale si integrerà – e si sta già integrando – nel back-end dell’attività professionale di lobbying, automatizzando compiti come l’analisi di big data legislativi, la predisposizione di scenari previsionali, taluni segmenti del monitoraggio che solo sistemi di AI possono elaborare efficacemente e in tempi quasi istantanei, liberando potenziale relazionale nel front-end del lobbying, tipicamente centrato sul capitale relazionale del professionista.

Questa integrazione ci pone dinanzi a due questioni: la necessità di nuove competenze per i professionisti e la necessità di trasparenza verso gli stakeholder sull’utilizzo di questi sistemi, ancora agli esordi, nelle proprie attività.
In merito alla necessità di nuove competenze credo sia cruciale offrire programmi di upskilling specifici per i manager e i C-level nel Public Affairs. Questo tipo di formazione, che reputo sia necessario differenziare sulla base dei diversi contesti aziendali, deve non solo aggiornare le competenze digitali ma soprattutto affrontare la sfida culturale di integrare efficacemente le nuove tecnologie con le competenze umane e relazionali. Questa sfida appare rilevante all’interno delle realtà di impresa in cui il capitale cognitivo delle generazioni più giovani è già in grado di incorporare, organizzativamente e culturalmente, il ruolo dell’AI nei processi.
Sul secondo punto ritengo sia essenziale che le aziende informino con chiarezza e rassicurino i clienti e gli stakeholder sul fatto che le strategie di consulenza, integrate con l’intelligenza artificiale nei processi decisionali, sono solide e affidabili. Dichiarare che “è stato tutto verificato mediante intelligenza artificiale” è un asset aggiuntivo, ma ciò non toglie quanto sia cruciale dimostrare la robustezza del processo decisionale evidenziando come l’esperienza e la competenza del consulente di Public Affairs svolgano ancora un ruolo fondamentale nell’interpretare e applicare i risultati dell’AI.
Infatti, nonostante l’accelerazione e la crescente specificità nello sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale, persiste un significativo margine di incertezza nei risultati derivanti dall’analisi, dalla valutazione e dalla revisione di vasti insiemi di dati e i professionisti devono ricordare che, nonostante l’AI, le capacità umane e relazionali rimangono cruciali, proprio in ragione di quegli elementi di fortuna e virtù nell’attività politica.
Per tale ragione in virtù del principio di collaborazione uomo-macchina a cui accennavo prima, l’integrazione dell’AI dovrebbe quindi avvenire come base di partenza per la costruzione di un sistema decisionale che metta al centro il fattore umano delle scelte politiche grazie a un uso intelligente ed efficiente dei dati.

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