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Il gioco delle previsioni secondo Federico Rampini

Sembra poco saggio, in piena estate, iniziare un’intervista con Federico Rampini chiedendo un pronostico su cosa possa succedere in America in vista delle elezioni di novembre 2024. Rampini stesso lo sconsiglia, viste le tante incognite. Ma ammette che nell’azzardato gioco delle previsioni alcuni linguaggi comunicativi possono permettere un po’ di imprudenza. Il giornalista e saggista, editorialista del Corriere della Sera, se ne è reso conto lavorando al suo primo romanzo (dal quale vorrebbe trarre una serie tv) che sta scrivendo con il figlio Jacopo. “Spesso chi mi legge mi chiede di fare delle previsioni. Non è un esercizio che mi appartiene, ma scrivere un romanzo è un modo di provare a immaginare futuri possibili. Con la fiction posso permettermi un po’ più di imprudenza”.

Non è la prima volta che lavora insieme a suo figlio. Ora siete impegnati in un nuovo esperimento.

C’è stato ‘Trump blues’, e più di recente lo spettacolo in prosa ‘A cosa serve l’America’. Fotografie di vita Usa sulle due coste, dove tutta la mia famiglia ha vissuto a lungo. Per la prima volta ora scriviamo un romanzo e ci cimentiamo con la narrativa geopolitica. Le nostre due carriere si stanno incrociando sempre più spesso. In comune abbiamo il fatto di essere due italoamericani, ma io sono un baby boomer di 68 anni e lui ne ha 30 in meno.

C’è qualche vantaggio a raccontare la geopolitica in modi diversi da giornalismo e saggistica? I suoi saggi di solito generano qualche polemica, il teatro è diverso?

Nel teatro c’è questo rapporto immediato, molto intenso con il pubblico. Ho praticato questa forma di linguaggio per tanti anni. L’idea della fiction è recente. Il romanzo lo stiamo ancora scrivendo, il passo successivo sarà trasformarlo in una serie. Io delle polemiche in Italia so pochissimo, per due ragioni: vivo a New York e le reazioni che ci sono in Italia a quello che scrivo sono sempre un po’ lontane. In Italia vengo raramente. L’altra ragione per cui non ne sono al corrente è che ho fatto la scelta di vivere senza i social. In ogni caso, certamente non mi autocensuro.

La fiction le permette di esprimere le sue idee in maniera diversa? Al di là di cosa succederà a novembre negli Usa, il paradigma resterà probabilmente quello del protezionismo.

Nel romanzo ci saranno personaggi che esprimono idee anche più ‘hard’ delle mie. L’Europa continua ad andare a rimorchio degli Stati Uniti, non lo dico con senso critico o negativo. Da quando gli Usa hanno abbracciato il protezionismo l’Europa, riluttante e sempre due passi indietro, li ha seguiti. Un esempio sono i dazi contro la Cina (cosa che Pechino faceva già da trenta anni, che noi lo sapessimo o no). Poi c’è il tema delle politiche industriali e delle filiere. L’Europa sta cercando ancora di barcamenarsi per salvare un rapporto decente con la Cina ma si accorge che non è possibile. Trump lanciò i dazi contro alcune importazioni cinesi nel 2017 e fu vituperato dal mondo intero, gli economisti americani e i democratici dissero che era l’inizio della fine.

Non ci sono solo Cina, Europa e America, anche l’Arabia Saudita ha un ruolo sempre più importante.

Quando parlo di Arabia Saudita in Italia mi si dicono due cose: sta distruggendo il pianeta con il petrolio ed è ignobile per via dell’assassinio di Khashoggi, ignorando fattori molto importanti. Nel 2017 facevo il corrispondente della Casa Bianca, e mi capitò di seguire Trump in un viaggio nel Paese, che tra l’altro spianava la strada agli accordi di Abramo. Al tempo, era un’Arabia Saudita quasi medioevale. Noi, pur con tutti i privilegi di giornalisti americani, eravamo di fatto agli arresti domiciliari. Ci sono tornato quest’anno, e le cose sono cambiate. Le donne iraniane sarebbero felici di avere la metà dei diritti di quelle dell’Arabia Saudita. È ancora un regime autoritario e dispotico, tuttavia la condizione femminile è migliorata. In quanto al petrolio, hanno una visione da una parte realista, perché sanno che ne avremo bisogno ancora a lungo. Ma stanno investendo in rinnovabili molto più di noi, con impianti di desalinizzazione dell’acqua alimentati da energia pulita che farebbero sognare la Sicilia. Una tecnologia che esportano anche in Africa. Insomma, stanno accadendo cose significative – che generalmente da noi non interessano. Il problema degli italiani con l’Arabia Saudita si chiama Matteo Renzi: molti detestano lui e per proprietà transitiva anche l’Arabia Saudita. Ma i nostri imprenditori non sono nati ieri, sanno che lì c’è un grande mercato.

I dubbi di carattere etico o politico però restano.

Quei dubbi possiamo applicarli a qualsiasi Paese, chiuderci in casa e fare commercio con alcuni cantoni della Confederazione elvetica e con la Danimarca. Lo chiamo estremismo umanitario, l’idea che dobbiamo avere rapporti solo con i puri. Se chiudessimo i rapporti con la Cina, ad esempio, l’economia italiana non reggerebbe.

L’impressione è che quando parla di italiani, si riferisca a italiani di sinistra…

Mi è capitato di scrivere cose critiche sulla sinistra. Ma ho una storia di sinistra, ho cominciato a fare questo mestiere in alcune testate del Partito comunista italiano di Enrico Berlinguer. Sì, mi capita di polemizzare quando penso che facciano sciocchezze. Io però non mi risparmio di criticare nessuno. Mi capita di contestare l’antiamericanismo degli italiani, che ricordo come uno dei miei peccati di giovinezza, ma penso sia la confluenza di tre culture: comunista, fascista e cattolica, oggi perfettamente rappresentata da Papa Francesco. Tutte queste tre grandi culture odiano l’America per le ragioni più sbagliate possibili.

Nonostante l’antiamericanismo ci sia ancora, l’America, per citare il vostro spettacolo, sembra ancora servire parecchio. E torniamo al gioco delle previsioni.

La fiction immagina un mondo dove il centro della tensione si sposta più vicino a Taiwan, il che è molto realistico: prima o poi ci sarà tensione nel Pacifico e l’America dovrà occuparsi molto più degli alleati in Estremo Oriente, non avrà più le risorse per difendere anche l’Europa, che finora senza America non avrebbe goduto né della sua sicurezza né del suo benessere. Ma forse questo Bengodi sta per finire. Questa previsione mi sento di firmarla.

 

 

 

 

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