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Il caso Volvo e il dogmatismo pro elettrico

Quanto durerà la febbre da e-cars? Parliamo delle auto elettriche, l’oggetto delle meraviglie più innovative, tanto amato in nome del Green deal quanto detestato, vien da dire, dai consumatori che alla vettura elettrica non si sono mai appassionati. Non per un’opposizione pregiudiziale ma per ragioni molto pratiche, quelle che guidano i consumatori: il prezzo e la convenienza di utilizzo. L’ultima notizia è che Volvo Cars ha ufficialmente rinunciato al suo ambizioso piano di vendere unicamente auto elettriche entro il 2030. E la portata di questo “u-turn” è tanto più deflagrante se si considera che il gruppo svedese, controllato da Geely, era stato tra i primi pionieri dell’auto tradizionale ad annunciare la transizione totale verso l’elettrico. Volvo ha fatto i conti con la realtà: domanda in calo su scala globale, prezzi ancora troppo elevati per il grande pubblico, difficoltà di impiego legate principalmente alle carenze delle infrastrutture di ricarica e ai tempi necessari a tale scopo (chi può aspettare fino a tre ore in autostrada per ricaricare l’auto in un tragitto a lungo percorrenza?).

Nella storia dell’industria, l’intervento regolatorio ha sempre seguìto quello dell’innovazione tecnologica, non viceversa. Prima l’invenzione, poi la necessità di definire il quadro normativo di riferimento. Con l’avvento della mobilità elettrica, il legislatore europeo si è illuso di poter invertire l’ordine, con l’intento di massificare l’uso degli EVs a colpi di direttive e regolamenti. Una pia illusione: ad oggi la Tesla è una roba di nicchia, da appassionati che possono permettersi un’auto con costi di produzione elevati e limiti di impiego oggettivi. Il mercato ha le sue regole che nessun regolatore può annullare, neanche in nome della “net-zero transition”. Guardando all’Italia, i dati sono schiaccianti: nel primo quadrimestre 2024 le vetture elettriche registrate nel nostro Paese sono in totale 16.402, in calo del 19,4 percento rispetto allo stesso periodo del 2023. La quota di mercato è pari al 2,8 percento, in evidente discesa rispetto al 3,7 del primo quadrimestre 2023. In un’economia di mercato, dove vale la democrazia del consumatore e non la pianificazione quinquennale sovietica, un’innovazione, per quanto moralmente o ambientalmente “giusta”, non si afferma a colpi di decreti. L’unico driver è la convenienza.

Solo pochi mesi fa, a proposito di emissioni, il Ceo della Toyota e presidente della associazione costruttori di automobili giapponese Akio Toyoda ha lanciato un warning contro gli eccessi del dogmatismo pro-elettrificazione, mettendo in questione anche l’assunto che un’auto elettrica sia, in quanto tale, “carbon-neutral”. Secondo Toyoda, la transizione completa ai veicoli elettrici potrebbe costare centinaia di miliardi di euro, rendere le auto inaccessibili per la gente media, lasciare interi Paesi privi di elettricità senza ottenere alcun beneficio per l’ambiente dato che la produzione di batterie per i mezzi elettrici aumenterebbe le emissioni di Co2. I fautori dell’elettrificazione di massa del traffico stradale non considerano il carbonio emesso dalla generazione di elettricità oltre ai costi di una transizione totale ai mezzi cosiddetti “green”. Focalizzandosi sul Giappone, il boss Toyota ha evidenziato come il Paese del Sol Levante rimarrebbe senza elettricità in estate se tutte le auto funzionassero con energia elettrica. E che l’infrastruttura necessaria per supportare una mobilità composta solo da veicoli elettrici costerebbe al Giappone tra i 14 e i 37 trilioni di yen, vale a dire tra i 110 miliardi e i 290 miliardi di euro. In Giappone come in Italia, inoltre, gran parte dell’elettricità che consumiamo ogni giorno viene da combustibili fossili, non dal sole né dal vento. “Più veicoli elettrici produciamo, più salgono le emissioni di anidride carbonica”, ha dichiarato Toyoda secondo il quale, considerando anche le emissioni di Co2 legate alla produzione delle batterie, le emissioni nocive di un’auto elettrica sarebbero quasi il doppio rispetto a quelle generate per la fabbricazione di un’auto termica o ibrida. Per l’Europa, com’è noto, c’è anche il problema della dipendenza dalle terre rare, necessarie per le elettriche, e oggi dominio quasi esclusivo della Cina. Insomma, i punti irrisolti sono più d’uno. Probabilmente il futuro non potrà che essere elettrico ma i tempi e i modi, nelle economie del mondo libero, li decideranno i consumatori, non i burocrati.

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Paideia

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