GILEAD
Leadership Heade
Cerca
Close this search box.

Un colpo al soffitto di cristallo, parla Cristina Scocchia (Ceo Illy Caffè)

Preferisce qualificarsi come amministratore delegato, senza necessità di specificare l’esser donna, una condizione che è la premessa del suo libro, ‘Il coraggio di provarci’ (edito da Sperling & Kupfer), e che, come tutte le evidenze della vita, non ha bisogno di essere ricordata ogni istante. Dopo gli anni a capo di L’Oréal Italia e l’esperienza da Ceo in Kiko, dal 2022 Cristina Scocchia è amministratore delegato di Illycaffé, colosso del chicco più amato dagli italiani.

La prima domanda sorge spontanea: perché ha scritto un libro?

Quando la casa editrice me lo ha proposto, sulle prime ho avuto qualche titubanza. Poi ho pensato alle migliaia di persone che mi seguono sui social network: a partire dalla crisi pandemica, infatti, ho coltivato il mio profilo social, come si dice, in particolare su Linkedin e Instagram. Non sono presentissima, posto di rado, ma quando metto una foto o esprimo un pensiero ricevo centinaia di messaggi. C’è uno scambio vero con la community, soprattutto con i giovani, forse per molti sono una specie di ‘mentor’. Il mio obiettivo è far passare due messaggi: il punto di partenza non deve determinare chi sei o chi puoi diventare, e la leadership oggi non è più potere ma responsabilità.

Lei, in effetti, non è figlia d’arte.

Sono nata in un paesino di duemila anime, vicino Sanremo, i miei genitori erano insegnanti. Vengo da una famiglia normale dove c’è sempre stato il giusto e mai il superfluo, bisognava gestire il budget per arrivare a fine mese.

Con Illycaffé lei è per la terza volta sulla tolda di comando di una grande azienda, una cosa che capita a poche donne in Italia.

Se solo il 3,9% degli amministratori delegati è donna, il problema esiste. Non è solo italiano, per carità, ma esiste. Dobbiamo scoraggiarci? Assolutamente no, io sono incline all’ottimismo. A Palazzo Chigi, per la prima volta, c’è una donna presidente del Consiglio e il capo dell’opposizione è pure una donna. Tante di noi ce l’hanno fatta, per le future generazioni sarà più facile rompere con una testata il soffitto di cristallo.

Nel suo percorso, ha pagato di più il sacrificio o un pizzico di fortuna?

Io ho imparato che nella vita bisogna farsi il mazzo, punto. La fortuna può aiutare ma senza il sacrificio non si va da nessuna parte. Nel mio caso, la svolta è arrivata con uno stage in Procter & Gamble: ero giovanissima, neanche laureata, eppure ebbi l’opportunità di iniziare un’esperienza che mi ha poi accompagnato fino alla laurea in Bocconi e oltre. In Procter sono rimasta sedici anni, è stato il mio sogno americano.

Dai detersivi è passata alla cosmetica con la bergamasca Kiko. Con lei nel ruolo di Ad, l’Ebitda è raddoppiato a 58 mln nel giro di un paio d’anni.

La premessa è che nella mia carriera non mi sono mai preclusa alcun settore: il compito di un Ad è creare valore indipendentemente dal comparto. Sono stata anche consigliere di amministrazione in aziende molto diverse: Pirelli, Fincantieri, EssilorLuxottica. Quando sono arrivata in Kiko, la società versava in condizioni non ottimali. In due anni siamo riusciti a completare il turnaround, poi di lì a poco è scoppiata la pandemia e nel giro di una settimana abbiamo dovuto mettere in cassa integrazione quasi ottomila persone. In quel frangente, ho capito che la leadership non è potere ma responsabilità. Quando la nave traballa, il capitano deve pensare anzitutto alle persone.

In Italia la leadership com’è?

Ovunque nel mondo, la leadership è soprattutto potere. Oggi, lentamente, si va affermando anche un modello nuovo, mirato a non lasciare indietro nessuno. La leadership richiede responsabilità, empatia e partecipazione. La leadership verticale dell’uomo solo al comando non funziona più.

Con Illycaffé lei ha dichiarato l’obiettivo di espandere la presenza nel mercato americano e di conquistare addirittura quello cinese.

Vedo enormi opportunità negli Usa e in Cina. Attualmente il mercato americano, il più grande fuori dall’Italia, vale un sesto del fatturato, l’Italia un terzo. Il nostro obiettivo è raddoppiare il fatturato Usa portandolo da 100 a 200 milioni. Quanto ai cinesi, consumatori abituali di tè, puntiamo a far scoprire loro la bontà della nostra miscela.

Illycaffé è un marchio di italianità, della nostra identità nazionale.

Siamo orgogliosi che il nostro caffè sia anche un modo per sentirsi a casa. Spesso gli amici mi mandano foto da posti ameni, dall’Africa al Medio Oriente, dove riescono ad assaporare una tazzina di caffè Illy. Noi siamo fieramente italiani e fieramente Made in Italy per tradizione, cultura e per scelta. Il piano industriale quinquennale prevede il raddoppio della capacità produttiva del nostro sito di Trieste dove si trovano il nostro quartier generale e la nostra fabbrica.

Nel libro lei racconta la routine di una donna manager, mamma di Riccardo, quindici anni. Guardando indietro, la carriera le ha imposto qualche rinuncia?

Io ho sempre voluto essere amministratore delegato, consapevole del fatto che ci sarebbe stato un prezzo da pagare. Se mi guardo indietro, penso che ne è valsa la pena. La maternità è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita. Da quando c’è Ricky, ho imparato a fare il giocoliere: per lui rinuncio spesso a cene e occasioni di PR, pure importanti per il networking, ma sono serena. Il mio consiglio alle donne è di non puntare alla perfezione, non si può sempre fare tutto e al massimo. Il segreto è trovare un equilibro, un’armonia.

Lei declina il suo job title rigorosamente al maschile.

Io dico amministratore delegato, mi piace l’idea che si trasformi un termine maschile in un termine neutro che ognuno riempie con la propria identità sessuale. La differenza la fa il merito, non l’essere uomo o donna. So che c’è un grande dibattito sul tema lessicale, rispetto le posizioni di tutti e, pur chiamandomi al maschile, sono laica sul tema.

E le quote rosa?

Sono una medicina amara ma necessaria. Mi auguro che presto non serviranno più perché l’accesso alla stanza dei bottoni dovrebbe essere deciso solo dal merito e non dalla legge. Bisogna ammettere che le quote rosa, per quanto abbiano fatto migliorare l’accesso ai Cda, purtroppo non sono ancora riuscite a incidere sulle posizioni di vertice se, come ricordavo all’inizio, le donne Ad sono meno del 4% e le donne Cfo (chief financial officer, ndr) sono il 6,5%.

Il prossimo sogno?

Al primo colloquio in Procter, dissi che sarei voluta diventare Ad. Il mio interlocutore mi guardò perplesso: “Mai qualcuno ha ammesso così candidamente di voler diventare il mio capo”. Ora non ho più vent’anni, sono arrivata agli ‘anta’, i sogni non mancano ma non ho più la sfrontatezza di confessarli. Il mio motto è: non dire gatto se non ce l’hai nel sacco.

 

 

 

 

Leadership Forum
Paideia

Leggi anche

Ultima ora

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.