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Prevenzione ambientale per preservare gli ecosistemi. L’analisi di Miani (Sima)

Prevenire è meglio che curare. La regola vale per l’uomo, come per gli ecosistemi: contesti naturali e urbanizzati che sempre più spesso si ammalano e fanno ammalare a causa delle attività antropiche, dell’inquinamento e del cambiamento climatico di cui subiscono gli effetti. È sulla scorta di queste evidenze che hanno preso avvio i primi studi di prevenzione ambientale, disciplina emergente che sposta l’ottica della salvaguardia della salute, tradizionalmente affidata all’iniziativa delle persone e ai sistemi sanitari nazionali, su una prospettiva olistica in cui l’ambiente – inteso come contenitore di vita, relazioni e attività produttive – è il luogo primario sul quale concentrare gli sforzi di singoli, comunità, imprese e istituzioni per il miglioramento del benessere comune. 

“L’idea che sta alla base della environmental prevention fa leva sul fatto che, adottando azioni e misure proattive e partecipative per prevenire i danni ambientali, possiamo proteggere il pianeta e, nel contempo, la nostra salute”, dice Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) e docente di Prevenzione ambientale all’Università degli Studi di Milano. Se lo scopo è quello di creare un habitat sostenibile e salubre per le generazioni attuali e future, “in primo luogo, occorre agire per la riduzione dell’inquinamento generato dai trasporti, dall’agricoltura e dall’allevamento, dai processi industriali, dalle abitudini domestiche e dalla gestione dei rifiuti”, elenca Miani, “tutte variabili che impattano sulla sicurezza dell’aria e dell’acqua, sulla biodiversità e sulla qualità del suolo aumentando l’esposizione a sostanze nocive, come le polveri sottili presenti nell’aria e i Pfas rilevati nell’acqua”.

Sebbene nel 2022 e nel 2023 in base ai dati Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) siano stati registrati dei miglioramenti, in ambito europeo l’Italia – e in particolare il bacino padano – è ancora fra le aree dove l’inquinamento dell’aria dovuto alla concentrazione di PM10 e PM2,5 è più rilevante. Per contenere la circolazione dei contaminanti atmosferici, fra le prime cause di problemi respiratori, malattie cardiovascolari e tumori, “nelle zone urbane si possono per esempio incoraggiare gli spostamenti su mezzi pubblici e veicoli elettrici, ridurre le emissioni delle industrie e favorire l’uso di energie pulite”. Allo stesso modo, “la sicurezza delle falde va garantita tramite il controllo degli scarichi industriali e casalinghi che diffondono nelle acque, nel terreno e, di riflesso, negli alimenti, sostanze tossiche che andrebbero sostituite con le equivalenti green o comunque ridotte, adottando norme più severe sull’uso degli agenti chimici pericolosi”.

Sostenere l’agricoltura biologica (che nel 2022 in Italia ha superato i 2,3 milioni di ettari, pari al 19% del totale della superficie agricola utilizzabile) e limitare l’uso di pesticidi sono altri interventi che “contribuiscono a mantenere la salute del suolo e delle acque, mentre programmi di compostaggio e campagne di riciclaggio giocano un ruolo vitale nella gestione efficace dei rifiuti: gli obiettivi europei prevedono un tasso di riciclo del 65% entro il 2035, e in Italia si arriva già al 72% contro il 58% della media Ue (fonte: rapporto Il Riciclo in Italia 2023, ndr)”. L’altro fronte sul quale lavorare per raggiungere la mission della prevenzione ambientale “riguarda la creazione di consapevolezza sulla necessità di adottare comportamenti virtuosi a favore dell’ambiente”, raccomanda il presidente Sima, “coinvolgendo sempre di più la popolazione, gli stakeholder e i decisori per agire tutti insieme in maniera più compatta ed efficace”.  

Con un approccio estremamente lungimirante, l’articolo 32 della Costituzione della Repubblica italiana fin dal 1948 tutelava la salute come diritto fondamentale della persona, ma anche e soprattutto come interesse collettivo. L’8 febbraio 2022 sono stati modificati l’articolo 9 della Carta costituzionale, che ora prevede che la Repubblica tuteli l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e gli animali, e il 41, dove oggi si sancisce che la salute e l’ambiente sono valori da salvaguardare da parte dell’economia, al pari della sicurezza, della libertà e della dignità umana. E che le istituzioni possano orientare l’iniziativa economica pubblica e privata verso fini sociali e ambientali. Il combinato disposto dei tre articoli dà forma a una cornice normativa puntuale, moderna e articolata in cui ben s’inserisce il nuovo modello “One-Health” proposto dall’OMS, che si basa sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ambiente sono fra loro indissolubilmente legate: in una visione di questo tipo, è evidente come la prevenzione ambientale possa fare molto per ridurre i fattori di rischio sanitario, integrando gli approcci informativi e le azioni concrete alle prescrizioni di leggi e regolamenti. E responsabilizzando tutta la società civile, a partire dai singoli (in particolare i giovani), sull’utilità del loro apporto.

La pandemia di Covid-19, che, come è stato scientificamente dimostrato, ha preso piede in maniera più massiccia nelle zone particolarmente esposte all’inquinamento urbano e industriale in cui l’atmosfera satura di polveri sottili ha favorito la circolazione del virus, avrebbe dovuto rendere molto chiare due cose: “Quanto gli interventi ambientali di igiene pubblica – ad esempio l’uso di mascherine, il distanziamento fisico e gli incentivi per i vaccini – siano stati superiori alle soluzioni farmaceutiche nell’affrontare questa e altre pandemie”, sottolinea l’esperto europeo di prevenzione Gregor Burkhart in uno studio pubblicato sul Journal of prevention (2022). Ma i mesi cruciali del Coronavirus hanno anche evidenziato “quanto piccolo sia stato il contributo dell’informazione e dell’educazione alla piena adozione di comportamenti protettivi come l’uso corretto di mascherine e l’accesso alla profilassi vaccinale”.

Questo conferma che, sul fronte della sensibilizzazione sui temi ambientali, si può e si deve fare di più, spiegando alle persone che ciò che può apparire come una restrizione o una coercizione – valgano come esempi il divieto di fumare nei locali pubblici chiusi, entrato in vigore in Italia nel 2005 con la legge Sirchia, la recente adozione dei tappi fissati sulle bottiglie di plastica per impedirne la dispersione nell’ambiente o l’abolizione dei CFC (clorofluorocarburi), che dal 1987 (Protocollo di Montreal) non possono più essere usati come gas refrigeranti e propellenti in quanto sono fra i principali responsabili del famigerato “buco nell’ozono”, – può essere non solo un mezzo per ridurre comportamenti dannosi, ma anche uno strumento per migliorare l’esperienza nei luoghi in cui si vive. “Se la scienza della prevenzione ambientale non influenza concretamente le politiche i governance e la comunicazione su concetti potenti come la salute e l’etica, i comportamenti e le attività produttive inquinanti continueranno a modellare gli ecosistemi ma anche le narrazioni che li riguardano”, avverte Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) e docente di Prevenzione ambientale all’Università degli Studi di Milano. Ecco perché “le scuole di ogni ordine e grado dovrebbero integrare l’educazione ambientale nei loro programmi già a partire dalle primarie, incoraggiando i cittadini di tutte le età ad adottare pratiche ecologiche e fornendo loro le conoscenze per capire quando un prodotto, un processo o un’intera filiera sono veramente sostenibili o se invece ci si trova davanti a dell’inutile green washing”.

I governi svolgono un ruolo fondamentale nell’attuazione delle strategie di prevenzione ambientale attraverso la definizione di norme ad hoc: “In Italia il testo-chiave è il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il cosiddetto Codice dell’Ambiente. All’interno di questo corpus normativo viene enunciato il principio di prevenzione, che consente di evitare che si provochino danni all’ambiente quando ci si trova di fronte a comportamenti per cui esiste la certezza, scientificamente provata, della loro pericolosità. Lo strumento fondamentale per la prevenzione è poi la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), un procedimento tecnico-amministrativo indispensabile per individuare ex ante i potenziali impatti che determinati progetti pubblici o privati possono produrre sull’ambiente”, chiarisce Miani. Le questioni legate alla prevenzione ambientale, tuttavia, sono globali e, per affrontarle, è necessaria una cooperazione a livello mondiale: “I trattati internazionali, come per esempio l’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, che ha come obiettivo la neutralità climatica e impegna gli Stati firmatari e l’UE a mantenere l’innalzamento della temperatura sotto i 2 °C e – se possibile – sotto 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali del 1850, evidenziano l’importanza di un’azione collettiva e concertata per affrontare le sfide ambientali”, precisa il presidente SIMA.

“In ambito europeo l’articolo 130 R, n. 1, del Trattato CE, prevede che la protezione della salute umana rientri tra gli obiettivi della politica della Comunità in materia ambientale, e al n. 2 precisa che questa politica si deve fondare sui principi della precauzione e dell’azione preventiva. Quando si parla di ‘precauzione’, si fa riferimento a un principio introdotto nella Dichiarazione di Rio sull’Ambiente e lo Sviluppo del 1992, dove si chiarisce che, al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacità, il principio di precauzione: questo significa che, in caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale. Si tratta di una misura essenziale che, insieme al principio per cui ‘chi inquina paga’ e deve ovviare ai danni prodotti, conferma, una volta di più, come la salvaguardia di ambiente e salute debba avere comunque la precedenza rispetto alle considerazioni a carattere economico”, conclude Alessandro Miani. 

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