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Lo sport deve essere di tutti, parla Diego Nepi Molineris

Solo una presenza capillare di strutture moderne e polifunzionali può trasformare la pratica sportiva in uno strumento di inclusione e benessere collettivo.

Divertimento, inclusione, senso di comunità: sono i valori che incarna lo sport per Diego Nepi Molineris, amministratore delegato di Sport e Salute, la società pubblica a cui lo Stato affida l’attuazione delle politiche in materia di sport. “Nessuno deve rimanere escluso”, esorta Nepi. Ma la premessa ineludibile per uno sport diffuso e universale è il rinnovamento degli impianti, un tasto dolente per il nostro Paese. “Dobbiamo ascoltare i territori, comprendere di cosa hanno bisogno e realizzare playground moderni, strutture polifunzionali che sappiano conciliare più sport e non solo il calcio”.

Quali sono i capisaldi che orientano l’azione di Sport e Salute?
Prima di intavolare qualsiasi discorso dobbiamo partire dalla raccolta dei dati sul sistema sportivo, un patrimonio informativo preziosissimo. Vuol dire sapere quanti italiani fanno sport, quanti sono gli addetti, il numero e lo stato di salute degli impianti e così via. Abbiamo censito tutta l’impiantistica sportiva per la creazione di una banca dati funzionale alla nascita di un piano regolatore.
Una premessa fondamentale.
Senza quella non potremmo fare una pianificazione degli interventi da realizzare. Mi chiedeva dei valori. Il primo è sicuramente quello dell’inclusione. Lo sport deve essere di tutti, a prescindere da fascia d’età e area geografica. Vogliamo rafforzare il legame fra sport e territorio. Ogni regione, ogni città esprime bisogni ed esigenze diverse, e noi dobbiamo saper ascoltare le preferenze espresse dalla cittadinanza. Magari ci sono zone in cui c’è una saturazione di campi da calcio, ma mancano le strutture per praticare altre discipline. Il cittadino è al centro del nostro progetto.

Per soddisfare le richieste dei territori però servono gli impianti.
Le strutture in Italia sono vecchie e fatiscenti e troppo spesso abbiamo la tendenza ad aspettare i grandi eventi sportivi per rinnovarle. Il nostro obiettivo è realizzare impianti di ultima generazione, dei playground 2.0 che nascono dalla trasformazione di spazi urbani inutilizzati o degradati, diventando luoghi di crescita per i quartieri e le comunità. Come Illumina Caivano, il progetto con cui abbiamo riqualificato un’area complessiva di 50mila metri quadri. Intendiamo l’impianto sportivo come una piazza: un luogo di incontro e inclusione. Puntiamo a fare strutture sostenibili e a costi contenuti.

Crede che lo sport possa contribuire alla rigenerazione sociale dei territori?
Assolutamente sì, perché esprime tanti valori importanti: il piacere di stare insieme, il valore della vittoria e l’accettazione della sconfitta. Ancora, il concetto di squadra, essenziale per lo sviluppo di qualsiasi società. Lo sport, a nostro avviso, deve essere anzitutto divertimento. In Italia sull’agonismo siamo molto forti, ma a noi interessa anche tutto il resto, chi fa sport solo per divertirsi e per stare con gli amici.

Quanti sono gli italiani che praticano sport?
Abbiamo 10 milioni di persone che praticano sport regolarmente e 17 milioni che fanno attività fisica in maniera autonoma, non strutturata. Questi ultimi godono di poca considerazione: dobbiamo fornire piste ciclabili e servizi di livello ai runner, ai ciclisti amatoriali, oppure strutture ad hoc a chi fa parkour. E poi abbiamo 23 milioni di sedentari. Sport e Salute vuole investire nello sport per migliorare le condizioni di vita nel nostro Paese. Abbiamo un algoritmo che ci dice che per ogni euro investito nello sport se ne risparmiano cinque in sanità. Faremo di tutto per aumentare il numero degli sportivi in Italia.

Quanto vale lo sport in Italia?
Circa 23 mld di euro, che corrispondono all’1,4% del Pil. Gli addetti invece sono 450mila. Abbiamo inoltre 140mila società sportive. Grazie alla riforma che ha dato vita a Sport e Salute, il gettito fiscale generato dall’attività delle federazioni sportive viene destinato allo sport nella misura del 32%. È un circolo virtuoso: più investiamo in attività e strutture sportive, più avremo risorse da destinare allo sport. Ma c’è anche un’altra questione legata all’aspetto economico.

Quale?
Oggi una famiglia non può pagare mille euro per far fare sport al figlio, è inammissibile. Per questo dobbiamo sostenere economicamente le federazioni e le società, affinché queste possano fornire all’utenza le proprie attività a un giusto prezzo. C’è chi sogna di vincere l’oro alle Olimpiadi, ma noi dobbiamo garantire l’accesso allo sport a tutti, anche a chi, pur non essendo un fenomeno, vuole solo divertirsi con gli amici. La bellezza dello sport è il divertimento, la condivisione: nessuno deve essere escluso.

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