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Colesterolo LDL: ecco come controllarlo in modo efficace

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Come vedreste un’azienda che raggiunge solo il 30% del risultato che si propone? Difficile, molto difficile giudicare positive le performance. Soprattutto se si considera l’obiettivo. La metafora economica spiega benissimo cosa accade in termini di sanità pubblica quando si parla di colesterolo LDL (meglio sarebbe dire non HDL, per definire l’intero profilo lipidico), considerando che i valori alti di colesterolo LDL sono un vero e proprio fattore causa dell’infarto.

Arrivare ai risultati desiderati per ogni persona in circa sette casi su dieci è un’utopia. Insomma, siamo chiaramente in deficit, in termini aziendali. Ma per il futuro, grazie ad un maggiore engagement del paziente, vero protagonista dell’aderenza alla cura, e all’impiego di semplici tecnologie digitali, i margini di miglioramento ci sono. Eccome.

Fatta salva la traslazione in chiave economica, si può riassumere così la visione di un esperto come Stefano Carugo, direttore della Cardiologia del Policlinico di Milano, alla luce delle informazioni non proprio incoraggianti che emergono a margine del Congresso della Società europea di Cardiologia (ESC) di Londra.

“Oggi in Italia solo il 30% delle persone in terapia ipocolesterolemizzante arriva al target – segnala Carugo a Fortune Italia – Il che significa che sette pazienti su dieci vedono aumentare il rischio di sviluppare infarti, ictus, insufficienza renale o di andare incontro ad amputazioni. La ricetta che emerge dal convegno è semplice: occorre puntare sull’engagement del paziente, che passa attraverso la condivisione della strategia terapeutica con il curante. Non conta quindi quante compresse prescriviamo, ma bisogna essere certi che il malato le assuma”.

A fronte dello sviluppo di soluzioni terapeutiche in grado di adattarsi alle persone con colesterolo LDL elevato (ovviamente i target sono diversi da caso a caso), insomma, il passaggio chiave sta nella vera alleanza tra medico e paziente.

Come migliorare? “In primo luogo dobbiamo parlare con la persona, dedicando il giusto tempo al colloquio: è basilare che la persona comprenda bene la gravità del quadro (anche se magari non crea disturbi) e soprattutto i rischi che comporta avere valori elevati di colesterolo non-HDL – riprende Carugo – E poi, bisogna puntare sugli stili di vita salutari”.

Cosa fare, quindi, in pratica? Sostanziali sono l’informazione e la presa in carico che deve passare a detta di Carugo, attraverso il medico di riferimento. “soprattutto dobbiamo creare conoscenza e competenza, facendo passare l’idea che il colesterolo non-HDL deve essere controllato già a 18 anni, senza pensare che si tratti di una problematica della mezza età: le placche possono formarsi anche prima degli anta”, sottolinea l’esperto. “E poi bisogna indagare con cura la presenza di un’eventuale familiarità”.

Insomma, si deve puntare sull’identificazione del profilo lipidico di ogni persona, per proporre soluzioni su misura, comprendendo anche altri parametri come l’ipertensione, il sovrappeso, la scarsa attività fisica, il fumo.

Dunque occorre ragionare in termini di rischio cardiovascolare globale. Ma torniamo all’azienda, dal bilancio non proprio soddisfacente: come potremo migliorare la percentuale di soggetti a target grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali?

Vista la numerosità dei soggetti da coinvolgere, Carugo propone soluzioni semplici ma efficaci, magari attraverso software che ricordino di assumere il trattamento e aiutino a gestire al meglio gli stili di vita. E proponendo controlli regolari. “A volte ci si ferma ad una prima valutazione del profilo lipidico e del colesterolo LDL, dimenticando di ripeterla nel tempo – conclude l’esperto – È invece fondamentale migliorare su questo aspetto, grazie all’informazione sanitaria e alla tecnologia”.

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