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Un Ceo italiano per la Formula 1, parla Stefano Domenicali

Stefano Domenicali racconta il suo lavoro quotidiano per innovare il mondo delle corse, facendo del Gran Premio uno spettacolo sportivo sempre più totalizzante.

Dopo oltre un ventennio in Ferrari e i grandi successi conseguiti come amministratore delegato di Automobili Lamborghini, oggi Stefano Domenicali è Presidente e Ceo del Formula 1 Group. “Stiamo vivendo una delle pagine più belle:
la Formula 1 è attraente per i tifosi e affidabile per gli stakeholder”.

Lei è il primo italiano a ricoprire il ruolo di Presidente e Ceo del Formula 1 Group. In qualche modo, ha scritto una pagina di storia.

Sono orgoglioso del ruolo che ricopro, e ne avverto anche la responsabilità. Questi primi quattro anni di lavoro sono stati davvero entusiasmanti. La Formula 1 non è mai stata così in salute. Stiamo vivendo una delle pagine più belle: è attraente per i tifosi e affidabile per i nostri stakeholder. Con un approccio innovativo e coinvolgente abbiamo conquistato un pubblico nuovo per il mondo delle corse, innanzitutto i giovani e un numero crescente di donne. Nel contempo, cerco di portare avanti i pilastri dell’italianità. L’Italia ha nel suo Dna i valori che la rendono unica, e lo dimostra oggi più che mai con l’enorme successo del Made in Italy, apprezzato in tutto il mondo come sinonimo di qualità, bellezza, cura del dettaglio e capacità nella risoluzione dei problemi.

Dal suo arrivo nel 2021 il Circus ha avuto una crescita di valore esponenziale. Com’è riuscito in questa impresa?

Non credo nelle imprese, credo piuttosto nel lavoro quotidiano, nella pianificazione e nell’apportare cambiamenti, a volte anche coraggiosi, ma che abbiano innanzitutto l’obiettivo di produrre miglioramenti concreti. Abbiamo introdotto una narrazione e un linguaggio moderno che ci hanno permesso di registrare un forte appeal anche nelle piattaforme social. Nella stagione 2023 abbiamo avuto circa sei milioni di spettatori in presenza, dati audience di 1,7 miliardi, il 2024 è iniziato alla grande con GP esauriti, come il Gran Premio di Australia con 452.000 spettatori, in Giappone 229.000, il weekend di Imola con ben 200.000 presenze e 480.000 a Silverstone. La strategia si è concentrata sulla realizzazione di più gare, alimentando la passione che esse suscitano. In pista, si sono introdotti nuovi regolamenti per favorire corse più ravvicinate e sviluppare nuovi format che offrano al pubblico di appassionati eventi più competitivi durante i weekend di gara. Lontano dalla pista, c’è il desiderio di rivelare il nostro sport, di ‘invitare’ i tifosi dietro la visiera e all’interno dell’abitacolo, per capire chi sono i piloti e dimostrare quanto sia difficile l’impresa di guidare una vettura di Formula 1.

Com’è cambiata la Formula 1 rispetto agli esordi?

Prima la Formula 1 aveva il suo focus sulla gara, sulla performance in pista, adesso è innanzitutto un’esperienza per chi partecipa a un weekend di GP in giro per il mondo, perciò noi parliamo di spettacolo sportivo. E poi c’è l’innovazione tecnologica: la Formula 1 è da sempre leader e punto di riferimento mondiale, non solo per l’automotive.

Alcuni esempi?

Nel 2014 siamo stati i primi a introdurre il motore ibrido. Il nostro target per il 2026 è introdurre le benzine sostenibili che manterranno potenza, velocità e performance all’altezza della Formula 1. Nel 2030 intendiamo raggiungere l’obiettivo emissioni zero nette per l’intera organizzazione. Abbiamo adottato misure significative per ridurre le nostre emissioni, introducendo una nuova flotta di autocarri alimentati a gas nel 2023 per supportare i movimenti di merci nel Regno Unito e in Europa. Una scelta che nella stagione appena trascorsa ha ridotto dell’83% le nostre emissioni nel trasporto su strada in Europa. La sostenibilità resta al centro dei nostri impegni, non solo con le squadre, ma anche con i nostri partner, promotori e stakeholder coinvolti a tutti i livelli con il nostro business.

La spinta sull’elettrico, con tanto di scadenza europea fissata al 2035, rischia di ridurre l’interesse dei costruttori per la Formula 1 che utilizza motori ibridi?

La mobilità elettrica è una scelta tecnologica che ha e avrà un suo mercato, essa rappresenta una delle possibili alternative ma non l’unica. Pensare che tale soluzione possa forzare la conversione di tutto il parco auto e veicoli commerciali è impossibile e impraticabile. Attualmente sono in circolazione circa 1,4 miliardi di veicoli con motore a combustione interna. Il carburante che le grandi aziende energetiche stanno sviluppando per le nostre auto è stato specificamente progettato come carburante ‘drop-in’, ovvero potrà essere utilizzato in qualsiasi vettura senza necessità di modifiche. Come sempre, la Formula 1 sarà la piattaforma che permetterà a tutte le tecnologie di accelerare il processo di applicazione in tutte le aree coinvolte. In questo caso, consentirà di poter accedere a benzine sostenibili al giusto prezzo in tempi più veloci, e ciò sarà di aiuto alla mobilità in senso assoluto, inclusa quella commerciale e aeronautica.

Lei viene peraltro dalla terra di Enzo Ferrari e Ferruccio Lamborghini: la Motor Valley rischia di essere penalizzata da una eventuale messa in mora del motore endotermico?

La Motor Valley è una terra magica con un tessuto produttivo di oltre 16.500 imprese, 90.000 addetti e un export di 7 miliardi di euro. Nella Motor Valley, terra di tradizione e tecnologia all’avanguardia, è stata scritta la storia delle due e quattro ruote: un’area geografica che racchiude le più prestigiose case motoristiche, grandi circuiti, una rete senza eguali di musei specializzati, collezioni private, università e grandi centri di formazione. Oggi più che mai è una best practice a livello internazionale.

Lei ha detto che il mondo della Formula 1 vuole aprirsi ancora di più a quello dell’entertainment, del cinema e del business.
Ma il limite di spesa a 140 milioni di euro per singola scuderia non rischia di andare in senso opposto?

Sono due cose distinte. Il limite di spesa per le singole scuderie permette, da un lato, di avere più equilibrio tra i vari team e di poterne esaltare al massimo la capacità creativa e il lavoro di squadra; dall’altro, le rende sempre più profittevoli, un dato rilevante considerata la nostra attenzione alla sostenibilità finanziaria dei team. Cosa diversa è il lavoro di posizionamento e di apertura alle varie piattaforme di comunicazione che stiamo portando avanti noi come Formula 1 Group. Siamo cresciuti tantissimo nella nostra fan base, oggi siamo 500 milioni, e parte di questo importante successo è dovuto anche alla crescita esponenziale dei nostri follower sui social network e al sempre maggiore interesse verso di noi da parte delle grandi piattaforme di entertainment, un esempio su tutti: ‘Drive to Survive’, la docuserie prodotta da Netflix.

Il prossimo anno vi attende l’esordio sul grande schermo?

Nell’estate 2025 uscirà nelle sale cinematografiche il film con la regia di Joseph Kosinski, dedicato alla Formula 1 e coprodotto da Apple, che vede tra i protagonisti Brad Pitt. E poi c’è la F1 Kids, il format dedicato ai nostri giovani tifosi, un modo brillante e divertente per coinvolgere i bambini.

Lei ha lavorato ventitré anni in Ferrari vincendo 14 titoli tra campionati costruttori e campionati piloti.

Sono entrato in Ferrari nel 1991, dopo la laurea in Economia all’Università di Bologna, mandai un curriculum e fui assunto. Potrà comprendere che per un giovane imolese fu il coronamento di un sogno. Inizialmente mi occupavo di affari fiscali e societari, poi dal ‘93 mi sono occupato del controllo di gestione e del circuito del Mugello, di proprietà della Ferrari, e successivamente sono diventato responsabile del personale e delle sponsorizzazioni. Nel ‘98 sono stato nominato team manager Formula 1, nel 2004 ho assunto l’incarico di direttore sportivo della Ferrari e poi di team principal nel 2008.

Che ricordo ha del suo primo ‘capoazienda’ in Ferrari, Luca Montezemolo?

In tutto il mio periodo in Ferrari ho avuto l’avvocato Montezemolo come Presidente. Mi ha insegnato tanto, un amore totale per l’azienda e per il Made in Italy. Pretendeva il massimo sforzo da parte di tutti ma l’obiettivo era nobilissimo: essere non solo vincenti ma un vero punto di riferimento a livello internazionale. Quando lui è arrivato in azienda, era da poco scomparso il fondatore, e l’avvocato Montezemolo ha conquistato tutti noi con passione e dedizione al lavoro.

Lei ha lavorato anche con Sergio Marchionne, il manager che ha letteralmente salvato la Fiat.

Sergio Marchionne è stato sicuramente uno dei manager più illuminati del nostro Paese. Grandissima intelligenza e lavoratore instancabile, gradiva la stessa abnegazione e il medesimo impegno da parte dei propri collaboratori. È stato un visionario, un precursore, aveva ben chiaro il ruolo di capitano d’azienda internazionale. È stato un leader. Amava rivedere sempre i target, sceglieva sfide sempre più ambiziose, per noi tutti era una competizione continua ma anche coinvolgente.

Come definirebbe il suo stile manageriale in azienda? La sua è una leadership gentile o, come dicono gli inglesi, ‘by terror’?

Per prima cosa, credo che sia fondamentale essere se stessi. Io cerco il dialogo con i miei collaboratori, provo a dare l’esempio e a contribuire affinché prevalga un’energia positiva. Mi impegno a porre attenzione alle esigenze delle persone che lavorano con me, so di essere un capo esigente ma ritengo che il sorriso sia uno degli ingredienti principali per rendere performante e gradevole un luogo di lavoro. Mi piace lavorare con persone vere, trasparenti e leali.

Nel suo periodo alla guida di Automobili Lamborghini i ricavi sono raddoppiati.

Quella in Lamborghini è stata un’esperienza splendida, sia sotto il profilo umano che professionale. Ho vissuto cinque anni unici. Abbiamo raggiunto traguardi incredibili, battendo record su record. Sono molto legato alle donne e agli uomini della Lamborghini, sempre in grado di affrontare e vincere ogni sfida.

Il pilota migliore di sempre?

Michael Schumacher.

Si disputerà mai un Gran Premio in Africa?

Spero proprio di sì, magari non nel breve periodo ma sicuramente nel medio-lungo. Siamo uno sport internazionale con un campionato mondiale, presente in quasi tutto il mondo, perciò siamo interessati ad approdare nel continente africano. È una nostra aspirazione e ambizione. Attualmente l’Africa ha esigenze più importanti ma già da tempo siamo in contatto con diverse realtà territoriali che potrebbero ospitare un GP. Occorrerà definire un quadro di sostenibilità finanziaria sulla base di un piano pluriennale, io resto fiducioso.

L’ultimo italiano a vincere un campionato mondiale di Formula 1 è stato Alberto Ascari nel 1953, oltre settant’anni fa. Perché non ci siamo più riusciti?

L’Italia è da sempre una delle grandi protagoniste nella storia della Formula 1. In Italia abbiamo il settore del Karting, un’eccellenza assoluta, quasi tutti i piloti sono sempre approdati nel nostro Paese per le competizioni di Kart. Da quella fantastica fucina sono usciti piloti, ingegneri, meccanici, oggi presenti in quasi tutte le scuderie mondiali. Non c’è un motivo specifico per il fatto che un italiano non vince un campionato del mondo da lungo tempo, ma abbiamo degli ottimi presupposti visto che oggi tanti giovani piloti italiani si stanno mettendo in mostra in F3 e in F2. Andrea Antonelli è uno di questi.

È vero che lei guida una 500?

Si, è vero. Amo la 500 ma adesso che vivo a Londra non guido più.

Perché ha scelto di vivere a Londra?

All’inizio del mandato, essendo in Inghilterra la sede della Formula 1, mi sono trasferito con mia moglie Silvia e i nostri figli Martino e Viola. Il mio lavoro prevede tanti viaggi, sono ventiquattro le tappe del nostro campionato in giro per il mondo. Ma quando posso, nel poco tempo che ho a disposizione, cerco sempre di tornare nella nostra amata Italia, dove ho i genitori, i familiari, gli amici più cari. Sono molto legato alla mia terra.

Sebbene sia uno dei manager più importanti del mondo, lei conserva l’attitudine del ragazzo di provincia, sempre sorridente e ben disposto con tutti. È autodifesa?

Assolutamente no. Sono semplicemente io, credo che essere sempre se stessi sia il miglior modo per affrontare la vita. Ho avuto una solida educazione familiare, non mi dimentico da dove sono partito.

Ha qualche rimpianto?

No, non si vive di rimpianti.

Il prossimo anno la attende il giro di boa dei sessant’anni: come si immagina tra dieci anni?

Mi immagino come oggi, con la stessa passione, entusiasmo e amore per la vita.

 

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