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Tumore: scoperta una proteina ‘chiave’ per le metastasi

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Oggi parliamo di una scoperta complessa ma destinata a far rumore in oncologia, perchè apre la strada alla ricerca di nuove armi per constrare la propagazione del tumore e favorire una diagnosi sempre più precoce. Tanto da essersi conquistata la copertina di ‘Science’. Una scoperta che, oltretutto, parla anche italiano. La chiave si cela in una celebre proteina multitasking: la p62.

Stando al gruppo internazionale di ricercatori coordinato da Stefano Santaguida, Group Leader presso il Dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Europeo di Oncologia e docente di Biologia Molecolare all’Università Statale di Milano, p62 è infatti cruciale nell’innescare un  meccanismo molecolare in grado di sostenere i processi vitali della cellula tumorale, incluse le metastasi. Tanto da poter essere essere considerata un marcatore prognostico e un importante bersaglio terapeutico.

Il team

Numerose e prestigiose le strutture coinvolte nella ricerca: negli Usa il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York City, la Harvard Medical School di Boston, la University of Texas Southwestern di Dallas, il Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle; in Israele l’Università di Tel Aviv; e in Italia l’Università di Palermo, l’Ospedale San Raffaele di Milano e l’Ifom di Milano.

Il caos cellulare

Nell’illustrare la scoperta, i ricercatori spiegano che tutto parte dall’instabilità cromosomica, uno dei tratti che caratterizzano la maggior parte delle cellule tumorali e consiste nell’alta frequenza di errori nella segregazione dei cromosomi nelle cellule figlie durante la divisione cellulare. Proprio il caos cellulare contribuisce all’anarchia delle cellule tumorali, tra cui il fatto di replicarsi all’infinito e di sopravvivere agli attacchi.

Sempre l’instabilità cromosomica fa in modo che le cellule tumorali abbiano diversi assetti di cromosomi (cariotipi). Ciò offre un vantaggio al tumore, dato che almeno alcune delle sue cellule avranno un cariotipo in grado di resistere ai farmaci, come ha scoperto di recente il gruppo di Santaguida.

I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro e Fondazione Cariplo, sono stati pubblicati su Science, che ha dedicato alla ricerca la sua copertina.

Il collasso dei micronuclei

Un’altra conseguenza dell’instabilità cromosomica è la formazione di micronuclei, strutture anomale che si collocano al di fuori del nucleo primario della cellula, in grado di indurre i cromosomi “sregolati” a catalizzare il caos cellulare. L’involucro di queste microstrutture è tuttavia molto fragile e spesso difettoso, per cui il Dna che contengono non è sufficientemente protetto. Parliamo dunque di un ambiente favorevole allo sviluppo del tumore.

La riparazione impossibile

“Sapevamo da tempo che i micronuclei sono tumorigenici, ma non sapevamo perché – puntualizza Santaguida – Con il nostro studio abbiamo capito che il problema originario è l’incapacità di riparare l’involucro nucleare e ci siamo impegnati a trovarne la causa. Abbiamo così scoperto che tale incapacità è legata a p62, una proteina multitasking con molteplici funzioni cellulari”.

P62 non era finora mai stata collegata all’instabilità cromosomica. “Attraverso complessi meccanismi cellulari da noi identificati e caratterizzati nel dettaglio a livello molecolare, abbiamo dimostrato che p62 inibisce l’azione dei riparatori dell’involucro nucleare del micronucleo. Quest’ultimo, rimasto senza difese, collassa, lasciando i cromosomi contenuti in balia del caos. Così l’instabilità cromosomica aumenta e le cellule tumorali ne ricevono più di un vantaggio, diventando più forti, crescendo, difendendosi dai farmaci e migrando all’interno dell’organismo” spiega ancora Santaguida. Dando luogo alle metastasi.

Le prospettive

Ma cosa vuol dire tutto questo nella pratica clinica? Come evidenzia ancora il ricercatore, “dalle nostre analisi risulta che tumori caratterizzati da instabilità cromosomica e con alti livelli di p62 hanno una prognosi peggiore. La proteina p62 potrebbe quindi da oggi essere considerata un marcatore prognostico e un importante bersaglio terapeutico”.

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