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Il rumore colpisce al cuore, specie in città e di notte

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L’inquinamento dell’aria e i cambiamenti climatici rappresentano rischi ormai acclarati per la salute in generale e per quella del cuore in particolare. Ma le insidie nascoste nell’ambiente non si limitano a questo. E a rivelarlo sono due studi, che verranno presentati a breve al congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc), in programma a Londra da 31 agosto al 2 settembre, che hanno individuato un nuovo ‘cattivo’ finora insospettato: il rumore.

Essere bombardati dal frastuono, giorno e notte mette a repentaglio la salute del cuore anche dei più giovani; per non parlare poi di chi un infarto lo ha già avuto. Lo studio DECIBEL-MI ha evidenziato una correlazione tra esposizione ad alti livelli di rumore e infarto nei soggetti con under 50. E, dunque, essere esposti alla cacofonia dei clacson, martelli pneumatici e folle vocianti, tipica di una città affollata potrebbe rappresentare un fattore di rischio per infarto anche per soggetti giovani o di mezz’età, anche in assenza dei tradizionali fattori di rischio (colesterolo e pressione alti, fumo, diabete, obesità).

Gli autori di questo studio, Hatim Kerniss e colleghi del Gesundheit Nord Clinic Group di Brema (Germania) sono dunque convinti che riconoscere il rumore come nuovo fattore di rischio per la salute del cuore, consentirebbe di profilare con maggior accuratezza il rischio cardiovascolare di soggetti giovani e apparentemente sani. E costituirebbe anche una spinta nella giusta direzione per mettere in campo strategie di salute pubblica, volte a combattere il pericolo rappresentato dall’esposizione al rumore.

Lo studio tedesco ha preso in esame 430 pazienti residenti a Brema (la città resa celebre dai rumorosissimi quattro ‘musicanti’ – un asino, un gatto, un gallo e un cane – della favola ottocentesca dei fratelli Grimm) di età pari o inferiore ai 50 anni, ricoverati in una cardiologia della città per infarto.

Andando a verificare l’esposizione ai livelli di rumore delle vie di residenza dei pazienti, i ricercatori hanno notato che queste erano mediamente molto più rumorose di altre aree della regione. A sorprendere gli autori dello studio è stato anche il fatto che questi baby-infartuati non presentavano alcuno dei fattori di rischio tradizionali per cardiopatia ischemica; l’unica differenza con i loro coetanei a coronarie sane era il fatto che questi pazienti risultavano esposti molto di più al rumore, rispetto alla popolazione generale.

Al netto di questo ‘dettaglio’ insomma sarebbero state considerate soggetti a basso di rischio di infarto. E dunque se nell’algoritmo di calcolo del rischio di infarto, fosse stata inserita la variabile ‘esposizione al rumore’, questo avrebbe permesso di etichettarli come soggetti a rischio e di mettere in campo strategie per proteggerli dall’infarto, prima che questo si verificasse. Un’occasione di prevenzione persa per scarsa conoscenza di quanto l’esposizione al rumore impatti sulla salute delle coronarie.

Questa nuova minaccia per la salute cardiovascolare è stata al centro anche di un altro studio, che sarà presentato tra qualche giorno all’ESC. Si chiama ENVI-MI ed è una ricerca francese che ha analizzato l’impatto del rumore ambientale sulla prognosi di pazienti colpiti da infarto. Anche in questo caso è emersa una forte associazione tra l’esposizione al rumore cittadino, soprattutto durante le ore notturne, e una prognosi peggiore a distanza di un anno dall’infarto.

Il gruppo della professoressa Marianne Zeller, dell’Università della Borgogna (Digione, Francia) ha analizzato il database osservazionale francese RICO relativo a 864 pazienti, ricoverati per infarto e sopravvissuti per almeno 28 giorni dopo il ‘fattaccio’.

A distanza di un anno, il 19% di loro aveva presentato un nuovo evento cardiovascolare maggiore (MACE), ovvero morte cardiaca, nuovo ricovero per scompenso cardiaco, recidiva di infarto, rivascolarizzazione d’urgenza, ictus, angina e/o angina instabile. I ricercatori francesi sono andati a misurare i livelli di esposizione al rumore a casa di ognuno di questi pazienti, riscontrando una media di 56 decibel nelle 24 ore e di 49 decibel durante la notte; si tratta di un’esposizione considerata di livello ‘moderato’ e rappresentativa della maggior parte della popolazione europea.

Andando a scorporare la misura del rischio comportata da numero dei decibel, gli autori dello studio hanno evidenziato che per ogni 10 decibel in più di rumore nelle ore notturne, il rischio di MACE in questi pazienti aumentava del 25%, indipendentemente dalla presenza di inquinamento dell’aria (riconosciuto ormai come sostanziale fattore di rischio per cardiopatia ischemica), appartenenza ad un livello socio-economico basso o altri fattori potenzialmente confondenti.

“Questi risultati – commenta la professoressa Zeller – fanno intuire che essere esposti al rumore possa impattare negativamente sulla prognosi di chi ha avuto un infarto. Se questi dati dovessero essere confermati da studi di maggiore portata, questo dovrebbe portare ad implementare nuove strategie di prevenzione secondaria ‘ambientali’, come ad esempio il posizionamento di barriere sonore, per proteggere i soggetti ischemici ad alto rischio”.

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