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Fomo: la nuova minaccia per il benessere sul lavoro

Fomo

Fear of Missing Out. O, se preferite, Fomo. Viviamo in un mondo di costanti interazioni. E non solo sui social. Così abbiamo sempre l’ansia di non essere presenti, di perdere qualche passaggio, di non sapere cosa sta accadendo. E non pensate sia solamente un problema dei giovani.

Se è vero che il timore di non ricevere un like su Instagram o comunque un messaggio, anche attraverso un semplice emoticon (il tutto può essere replicato per qualsiasi social), può dare una sensazione di “assenza” dal mondo virtuale che ci circonda, il problema esiste anche in ambito lavorativo, con strumenti del tutto diversi, che passano attraverso una dicotomia potenzialmente drammatica, soprattutto in chiave di possibile sviluppo di burnout.

Perché da un lato chi lavora in un’organizzazione teme di essere tagliato fuori non disponendo di dati fondamentali, dall’altro la grandissima mole di informazioni che viaggiano virtualmente rischia di creare temibili gap di conoscenza, con ripercussioni sul benessere lavorativo. Ecco quindi che Fomo diventa un potenziale rischio per il benessere in ambito lavorativo, con potenziale impatto sui percorsi dell’azienda.

A proporre questa chiave di lettura, legata anche e soprattutto alla diffusione dell’operatività digitale e del lavoro a distanza, con il computer che diventa uno scrigno di conoscenze da esplorare nella loro totalità per non sentirsi indietro, è una ricerca apparsa su SAGE Open, condotta dagli studiosi coordinati da Elizabeth Marsh e Alexa Spence.

Lo studio ha preso in esame attraverso un sondaggio poco meno di 150 dipendenti arrivando proprio a definire il potenziale impatto combinato del timore di perdere informazioni e, al contempo, di riceverne in quantità eccessiva, con un cocktail che aprirebbe la strada al malessere psicologico e allo stress professionale. Insomma, FoMO sul lavoro esiste, eccome. E il ricorso al lavoro a distanza può accentuare questa situazione, potenziale causa di burnout per diverse persone.

Soppesare rischi e benefici del lavoro digitale appare fondamentale. Perché si sta assistendo ad un moltiplicarsi dei canali attraverso cui possono passare le informazioni, dalle classiche mail fino ai profili pubblici sui social o ancora alle “reti” intranet aziendali che consentono di disporre di veri e propri strumenti di condivisione interni.

Email fuori controllo: l’ansia che alimenta il tecnostress (anche in vacanza)

Occorre quindi andare oltre. Perché l’ansia di perdere interazioni e relazioni, insieme alle informazioni che sfuggono, può diventare una vera e propria mina vagante per chi fa parte di un’organizzazione e non ha molti modi di interfacciarsi direttamente e spesso, con colleghi e superiori.

La ricerca ha preso in esame le esperienze legate agli effetti “indesiderati” del lavoro digitale, considerando stress, ansia e paura di perdersi qualcosa e come questi hanno influenzato il benessere degli intervistati. Come riporta una nota dell’ateneo, “tra gli effetti collaterali oscuri, quelli relativi alle informazioni, sia sentirsi sovraccaricati da esse che temere di perderle, si sono rivelati particolarmente dannosi per il benessere. E questo sia direttamente, sia aumentando lo stress complessivo correlato al lavoro digitale”.

Per chi fatica a tenere il passo e quindi può sviluppare segni di burnout professionale, si può comunque cercare di fare qualcosa. La prima contromisura sta nell’organizzazione aziendale e nell’attenzione posta dall’HR. Dunque investire in programmi che migliorino quantità delle informazioni da condividere e flusso delle stesse. Poi converrebbe puntare sulla formazione specifica per chi lavora a distanza, per via digitale. Fondamentale è focalizzarsi sul benessere del singolo, con conseguente impatto sulla produttività. Con ricette anti-Fomo specifiche. Perché non partecipare ad attività condivise, alla lunga, pesa.

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Paideia

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