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BRICS: la corsa per entrare nel gruppo (in attesa di un nome nuovo)

Brics

I BRICS, originariamente composti solo da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, avranno presto bisogno di un nuovo nome. Dopo non aver aggiunto nuovi membri per 13 anni, il gruppo internazionale ha accolto Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti lo scorso agosto. Da allora le porte sono rimaste aperte: a febbraio il ministro degli Esteri sudafricano Naledi Pandor ha affermato che oltre 30 nazioni ora vogliono unirsi al gruppo internazionale.

Il primo ministro malese Anwar Ibrahim ha espresso apertamente il suo desiderio di unirsi al blocco, facendo pressioni sui funzionari russi, cinesi e, proprio questa settimana, indiani in favore della richiesta della Malesia. Anche la Thailandia ha presentato una richiesta formale per entrare nel blocco lo scorso giugno e i funzionari sperano che il Paese del sud-est asiatico possa partecipare al vertice dei BRICS in Russia in programma a ottobre.

I BRICS, che devono il loro nome a un rapporto Goldman Sachs del 2001, hanno lottato a lungo per trovare uno scopo economico o geopolitico, poiché i Paesi membri hanno poco in comune oltre al fatto di essere grandi e non occidentali. Ma negli ultimi anni, il blocco sta cercando sempre di più di posizionarsi come la voce del Sud globale, un termine usato per descrivere le economie in via di sviluppo postcoloniali. È un argomento che ha preso piede dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, che ha riportato in primo piano la geopolitica e ha evidenziato il potere degli Stati Uniti nel sistema economico globale.

“Per alcuni Paesi, i BRICS possono essere un contrappeso all’egemonia economica degli Stati Uniti“, afferma Rahman Yaacob, ricercatore del programma per il sud-est asiatico presso il Lowy Institute.

Unirsi al blocco potrebbe anche essere un modo per proteggersi politicamente, poiché la crescente rivalità tra Washington e Pechino rischia di dividere il mondo in due gruppi contrapposti. “Se il mondo deve dividersi in blocchi, essere dentro supera l’essere fuori”, afferma Deborah Elms, responsabile della politica commerciale presso la Hinrich Foundation.

Ma perché Malesia e Thailandia vogliono unirsi ai BRICS? La Cina è già il più grande partner commerciale per la Malesia e altri Paesi del sud-est asiatico ed è anche la più grande fonte di aiuti allo sviluppo per alcuni Paesi della regione, nota Rahman. Entrare a far parte dei BRICS potrebbe essere un modo per garantire accordi commerciali o investimenti per il Paese del sud-est asiatico.
“L’intenzione di entrare a far parte dei BRICS potrebbe spingere i Paesi occidentali a migliorare i loro investimenti in Malesia, o persino incoraggiare [la Malesia] a prendere in considerazione la possibilità di presentare domanda di adesione ad alleanze allineate all’Occidente, come l’OCSE”, spiega Wen Chong Cheah, analista per l’Asia-Pacifico presso l’Economist Intelligence Unit.

L’industria dei semiconduttori della Malesia potrebbe anche trarre vantaggio da legami più stretti con Cina e India, poiché questi due grandi mercati potrebbero acquistare più elettronica prodotta in Malesia, spiega Cheah. L’adesione ai BRICS potrebbe inoltre portare a un aumento del turismo dai Paesi membri del gruppo, in particolare Cina e India.

Anche la Thailandia potrebbe essere interessata ai BRICS per dare una scossa alla sua economia in declino. La crescita ha rallentato di recente poiché l’industria turistica del Paese fatica ancora a riprendersi dalla pandemia.

La nascita

Jim O’Neill, ex capo economista di Goldman Sachs, nel 2001 sostenne che Brasile, Russia, India e Cina sarebbero stati i principali motori della crescita economica globale, coniando così il termine Bric, arrichitosi poi con l’aggiunta di Sudafrica (nel 2010) in Brics (Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti sono entrati nel 2024).

L’articolo originale è su Fortune.com

Foto: PRAKASH SINGH—BLOOMBERG/GETTY IMAGES

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