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Benessere, ecco perchè (a volte) lo perdiamo di vista

allenamento palestra

Se il senso del dovere sfida il piacere, spesso il secondo ha la meglio. Anche e soprattutto se si tratta di mettere sui piatti della bilancia lo sforzo fisico che potrebbe permetterci di mantenerci in forma e la gioia che può venire da un pranzo ricco di leccornie. Così, anche per questo maccanismo, diventa davvero difficile preferire una salutare nuotata o una sudata correndo su un sentiero di montagna ad una pasta con un sugo multicolore, ad un pesce con abbondante contorno, ad un dolce che segnala impercettibili (almeno macroscopicamente) gioie alle papille gustative e ai recettori per l’olfatto.

Ma è proprio sul termine, appunto preferire, che si dovrebbe concentrare l’attenzione. Perché se è vero che percezioni cromatiche ed effluvi di aromi possono in qualche modo influire sui nostri comportamenti, è altrettanto innegabile che a fonte di tutto c’è una scelta. Una scelta che allontana la fatica e ci guida verso il piacere della tavola, con conseguente aumento dei rischi di sviluppo di sovrappeso ed obesità. E con tutte le conseguenze che l’incremento ponderale può comportare, per il singolo e per la spesa sanitaria.

E allora, proviamo andare oltre la semplice pigrizia. E tentiamo di capire quanto e come il cervello guida e sceglie. Perché, almeno nei topi, la scienza è finalmente riuscita a comprendere cosa accade quando si preferisce la via breve (e non sempre salutare) di un piatto ricco di gusto e piacere rispetto alla strada della fatica fisica, dell’allenamento, del controllo ponderale… Insomma del benessere.

A far luce su questo processo decisionale, almeno a livello di sistema nervoso centrale, è una ricerca condotta dagli esperti dell’ETH di Zurigo, coordinata da Daria Peleg-Raibstein e Denis Burdakov. Lo studio, apparso su Nature Neuroscience, spiega come e perché a volte scegliamo la strada “sbagliata” sulla via del benessere, prediligendo il piacere alla salute. Tutto sarebbe mediato dall’orexina, vero e proprio mediatore del processo di scelta, e dai neuroni specializzati che la producono.

Sia chiaro. La via dell’orexina è solo una delle tante che, in un processo di andirivieni complesso ed impercettibile che viene mediato dal sovrapporsi continuo di segnali dei neurotrasmettitori, guidano le nostre reazioni. Ma stando a quanto appare negli animali da esperimento, sarebbe basilare. Lo studio, che apre un ruolo potenziale per farmaci che abbiano come target questa sostanza messaggera del sistema nervoso centrale anche oltre il suo ruolo nella genesi dell’insonnia, ha voluto proprio capire cosa guida il comportamento. E si è concentrato sui topi, che potevano scegliere, in mezzo ad opzioni varie, tra una ruota su cui correre e una sorta di “Pit Stop” culinario, assicurato da un frullato al gusto di fragola, sicuramente piacevole per il palato.

Risultato: gli animali che avevano il sistema dell’orexina perfettamente funzionante tendevano a passare il doppio del tempo sulla ruota da corsa e la metà del tempo di fronte al milkshake rispetto agli animali il cui sistema dell’orexina era stato inibito. Insomma, se l’orexina funziona a dovere, anche scegliere per il benessere piuttosto che per la gola (e per l’accumulo di adipe che si rischia nel tempo) diventa più facile. E di fronte all’opzione salutistica e alla spinta del palato, se l’orexina non è disponibile, l’animale tende a rinunciare al benessere legato all’esercizio fisico, scatenandosi sul cibo.

Lungi dal rappresentare una giustificazione, insomma. La fisiologia dei neurotrasmettitori può diventare una chiave di comprensione per le nostre scelte. E forse, in futuro, diventare un obiettivo per terapie da mettere a punto. Come è già accaduto per specifiche forme di insonnia. E magari consentire di scegliere per il meglio. Ovvero per il benessere.

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Paideia

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