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Crisi dei mercati finanziari, la parola all’esperto

Prima un venerdì nero, poi un lunedì dello stesso colore. Sui mercati finanziari di tutto il mondo soffia un vento strano. Ieri l’indice Nikkei 225 della Borsa di Tokyo ha subito un crollo del 12,4%, in quello che è stato il suo giorno peggiore dal 1987. Oggi invece è arrivato il rimbalzo, deciso. Stesso indice, un’impennata del 10, 23%. Le borse europee, invece, proseguono deboli la seduta, anche dopo l’avvio in cauto rialzo di Wall Street. La piazza peggiore è Milano, dove il Ftse Mib cede lo 0,85% a 31.026 punti. Cosa sta succedendo? Abbiamo chiesto al professor Marcello Messori, del Dipartimento di Economia e finanza della Luiss, un’analisi della situazione.

Professore, quali sono le cause del crollo di lunedì? 

Io credo che ci siano tanti fattori che intervengono, di cui è difficile valutare la portata. Innanzitutto c’è un quadro geopolitico minaccioso o – se si vuole essere meno pessimisti – fortemente instabile, con drammatiche contraddizioni. Fino ad ora la situazione internazionale non sembrava avere condizionato in maniera eccessiva l’andamento dei mercati finanziari: è arrivato il punto di rottura oltre il quale i fattori geopolitici cominciano a pesare. In secondo luogo, ci sono le condizioni dell’economia statunitense, che negli ultimi trimestri aveva dato segnali di tenuta e forti capacità di crescita, mentre ora sta scricchiolando. Ci sono stati dati non positivi e in controtendenza, rispetto alle aspettative, sul mercato del lavoro e la Federal Reserve ha scelto, per il momento, di non tagliare i tassi d’interesse. Poi c’è la questione del settore Big tech che ha avuto una crescita tumultuosa, ma guardando all’evoluzione dell’intelligenza artificiale generativa non poteva che essere così. Ancora, c’è il quadro politico degli Stati Uniti da considerare, viste le imminenti elezioni presidenziali. E poi c’è l’intervento sui tassi della Banca centrale giapponese: se fino a ieri c’era la tendenza a fare carry trade, cioè arbitraggio, su una perdita di valore relativo della moneta giapponese rispetto alle altre monete, quando questo è venuto meno chi si era indebitato in yen giapponesi ha cercato di chiudere le proprie posizioni per non subirne pienamente la rivalutazione. Questo ha portato alle cadute delle Borse, giapponese prima, statunitense ed europea poi.

E l’economia europea invece?

Strettamente collegata al quadro statunitense c’è la questione di un’economia europea in difficoltà: cresce poco e mostra palesemente un freno strutturale legato alle difficoltà tedesche. Al contrario di quello che si può dire degli Stati Uniti però, quella dell’Unione Europea è una difficoltà di fondo. Bisognerebbe attuare cambiamenti profondi nel modello produttivo e anche nella combinazione degli strumenti di politica economica. Il problema dell’Unione è che c’è stata la convergenza di una restrizione monetaria a una restrizione della politica fiscale, un dato che la differenzia da quella statunitense, sulla quale sono abbastanza positivo: in termini di potenziale di crescita gli Usa hanno ancora prospettive.

Tutti questi fattori segnano una drastica inversione di tendenza oppure no?

La difficoltà dell’analisi sta proprio qui. I fattori enumerati erano già presenti, almeno in parte, da diverso tempo anche se gli effetti si manifestano solo adesso. Il vero problema è capire se ci sarà appunto un’inversione di tendenza con una correzione profonda dello scenario economico mondiale, come molti si aspettavano, oppure se siamo di fronte a una pausa dalla quale ci si riprenderà in un contesto di maggiore volatilità. Nessuno è profeta, quindi è presto per dirlo: sono entrambi scenari possibili. Basti pensare al crollo di ieri e al ribalzo di oggi della Borsa giapponese, con le borse europee invece ancora fortemente instabili.

Tornando agli Stati Uniti, cosa pensa della politica della Fed?

In questo momento le politiche monetarie sono restrittive, sia negli Usa che nell’Unione Europea. Anche se ci sono ancora alcune tensioni inflazionistiche, il tasso di inflazione è sicuramente diminuito: mantenere invariati i tassi di interesse, come ha fatto la Fed, con un’inflazione che scende seppure in modo non lineare, implica aumentare i tassi di interesse reali. Credo che – stando agli ultimi dati sull’economia statunitense – anche la Banca centrale europea sia stata fin troppo cauta nella riduzione dei tassi d’interesse per non far seguire alla discesa a giugno una tendenza alla diminuzione. La Federal Reserve probabilmente taglierà a settembre e lo farà, penso, anche in modo più drastico di quanto noi non ci aspettassimo, cioè di 50 punti base e non più 25.

E poi c’è la cosiddetta bolla delle Big tech, che idea si è fatto?

È vero che c’è stato un fortissimo incremento, ma è vero anche che questo si basa su un’innovazione tecnologica di cui ancora non sappiamo le potenzialità e la portata, ma che è certamente di rottura. L’intelligenza artificiale generativa potrebbe avere effetti sull’organizzazione del lavoro, quindi sulla produttività, ancora più ampi di quanto noi non possiamo prevedere al momento. Di certo qualche correzione è nelle cose, che però questo implichi – di nuovo – un’inversione di tendenza mi sembra molto presto per poterlo dire. Comunque io non sono così pessimista in prospettiva.

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Paideia

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