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La ‘Mummia che urla’ svela il suo segreto

la mummia che urla Sahar Saleem

I corpi imbalsamati di sovrani e notabili egizi affascinano (e incutono timore) da ben prima del celebre film ‘La mummia’ di Stephen Sommers (remake di un classico del 1932). Chi erano, come sono morti e quali storie potrebbero raccontarci gli uomini e le donne sottoposti a questo rituale? Ebbene, il riferimento alla pellicola che racconta l’antico amore del sacerdote Imhotep per la sposa del faraone Anck-su-Namun potrà sembrare blasfermo, ma anche in questo caso la protagonista è una mummia che urla, non per rabbia, come nel film, ma per dolore (o per amore?).

Facciamo un passo indietro: nel 1935 il Metropolitan Museum di New York guidò una spedizione archeologica in Egitto. A Deir Elbahari, vicino Luxor – l’antica Tebe – il team scavò la tomba di Senmut, architetto e supervisore dei lavori reali – ma anche presumibilmente amante – della famosa regina Hatschepsut (1479-1458 a.C.). Ebbene, proprio sotto la tomba di Senmut, gli archeologi trovarono una camera funeraria separata per sua madre Hat-Nufer e altri parenti. Qui fecero una scoperta inquietante: in una bara di legno c’era la mummia di una donna anziana, con indosso una preziosa parrucca nera e due anelli con scarabeo in argento e oro. Ciò che colpì gli archeologi fu però l’espressione della mummia: con il volto stravolto e la bocca spalancata, come in un urlo. Da qui il soprannome: la “Donna che urla”.

Gli anelli/Credits Sahar Saleem

La mummia fu conservata fino al 1998 presso la Scuola di Medicina Kasr Al Ainy del Cairo, che negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso studiò numerose mummie reali, tra cui quella del faraone bambino Tutankhamon. Su richiesta del ministero delle Antichità egiziano, come ben ricorda Adnkronos Salute ricostruendo nei dettagli le tappe della vicenda, la ‘Mummia urlante’ è stata poi trasferita al Museo Egizio del Cairo, mentre la sua bara e suoi i monili sono esposti al Metropolitan di NYC.

Ora, circa 3.500 anni dopo la sua sepoltura e 89 anni dopo essere stata riportata alla luce, la ‘Donna che urla’ e il suo segreto tornano al centro di uno studio pubblicato su ‘Frontiers in Medicine’. “L’espressione facciale urlante della mummia potrebbe essere letta come uno spasmo cadaverico” e ciò “implica che la donna sia morta gridando per l’agonia o il dolore“, afferma Sahar Saleem (nella foto sotto/credits: Sahar Saleem), professoressa di radiologia dell’ospedale Kasr Al Ainy dell’università del Cairo, che insieme alla collega Samia El-Merghani ha analizzato la mummia utilizzando tutte le tecnologie a disposizione del radiologo moderno.

mummia che urla
La professoressa Sahar Saleem e la Mummia che urla/Credits: Sahar Saleem

Dalla Tac (tomografia computerizzata) alla microscopia elettronica a scansione (Sem), fino alla spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier (Ftir) e alla diffrazione a raggi X (Xrd). Obiettivo degli esami: stimare l’età della donna, identificarne eventuali malattie, capire le procedure usate per imbalsamarla e valutare lo stato di conservazione del reperto arrivato fino a noi.

L’identikit

Ebbene, da viva questa donna, raccontano gli studiosi, era alta circa 1 metro e 54 centimetri, soffriva di artrite, aveva subito degli interventi ai denti e morì a intorno ai 48 anni. Un’età matura, per l’epoca. Ma, a quanto pare, non si è spenta serenamente, considerando che “lo spasmo cadaverico – crivono gli esperti – è una forma rara di irrigidimento muscolare tipicamente associato a morti violente in condizioni fisiche estreme con emozioni intense“. In questo caso, si pensa a un grande dolore che lo spasmo ha fissato per sempre. O forse a un’altra forma di sofferenza?

Sia come sia, agli archeologi che l’hanno rinvenuta la ‘Mummia urlante’ è apparsa ancora in buone condizioni. Senza bende, giaceva supina con le gambe distese e le mani giunte sopra l’inguine. Il corpo non mostrava incisioni, e infatti cervello, diaframma, cuore, polmoni, fegato, milza e reni non erano stati rimossi in fase di imbalsamazione, nonostante le classiche tecniche di mummificazione di quel periodo prevedessero l’asportazione di tutti gli organi ad eccezione del cuore.

Il lavoro del dentista

In compenso alla donna mancavano diversi denti, probabilmente estratti da uno dei primi dentisti della storia. “L’odontoiatria è nata nell’antico Egitto con Hesy Re, il primo medico dentista noto al mondo”, ricorda Saleem. Che i denti assenti fossero stati persi prima della morte lo indicavano le evidenze di riassorbimento osseo, un processo che si verifica quando un dente esce e l’alveolo guarisce. Altri denti della mummia erano rotti o mostravano segni di attrito.

L’altezza della ‘Donna urlante’ è stata stimata grazie alle immagini Tc in 2D e 3D, mentre l’età al decesso è stata dedotta dalla morfologia dell’articolazione fra le ossa pelviche, che si ammorbidisce con l’età. La donna che urla soffriva di una leggera forma di artrite della colonna vertebrale, sulla quale apparivano degli ‘speroni ossei’ (osteofiti).

Trattamento di lusso

Le analisi Ftir condotte sulla pelle suggeriscono poi che la donna abbia ricevuto un’imbalsamazione ‘di lusso’, con ginepro e incenso forse importati dal Mediterraneo orientale e dall’Africa orientale o meridionale. Materiali costosi, fa notare Saleem, tanto da essere stati “trovati anche nella tomba di Tutankhamon”.

Queste osservazioni confermano “il commercio di sostanze per l’imbalsamazione nell’antico Egitto. La spedizione guidata dalla regina Hatshepsut portò l’incenso da Punt, probabilmente nell’attuale Somalia”, racconta la docente. Anche i capelli naturali della donna erano stati trattati con materiali preziosi come henné e ginepro. Mentre per la lunga parrucca, realizzata con fibre di palma da dattero, erano stati usati cristalli di quarzo, magnetite e albite forse per irrigidire le ciocche e conferire loro il colore nero. Il preferito dagli antichi egizi, perché simbolo di giovinezza.

Nessuna negligenza

Anche in questo caso lo studio moderno corregge un pregiudizio: l’imbalsamazione con sostanze importate e costose e l’aspetto ben conservato della mummia sono spia dell’importanza attribuita alla defunta. In precedenza si pensava che la mancata rimozione degli organi interni fosse legata a una cattiva mummificazione, e che imbalsamatori imprudenti potessero aver scordato di chiudere la bocca alla donna, lasciando che il rigor mortis le ‘regalasse’ un urlo perenne.

Non è così, assicurano gli autori del nuovo studio. Insomma, non c’è stata negligenza. Nessuna causa evidente di morte è stata individuata analizzando il corpo con le metodiche della scienza moderna. Il mistero, insomma, in parte rimane. Come il fascino senza tempo dell’urlo di questa signora egiziana, morta nel dolore o, forse, nella paura millenni fa. Chissà che questa mummia non celi, congelate nella morte, emozioni simili a quelle del sacerdote o della sua amata, protagonisti di una saga che ha affascinato tanti spettatori.

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