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Anche la ricerca diventa social, scienziati influencer su TikTok

social influencer ricerca

Ai tempi degli influencer, anche la ricerca è diventata ‘social’, uscendo dalle torri d’avorio della scienza, tradizionalmente blindate e lontane anni luce dal pubblico. È questa la nuova tendenza lanciata da giovani PhD (il più alto titolo accademico rilasciato dalle università anglofone, che in Italia corrisponde al ‘dottorato di ricerca’), diventati nell’arco di pochi mesi vere e proprie star di TikTok o Instagram, con un folto codazzo di follower e, per qualcuno, anche una consistente fonte di guadagno grazie alle partnership brandizzate.

Un fenomeno del quale si è anche occupata di recente addirittura la rivista scientifica ‘Nature’ con una news feature. I video degli influencer-ricercatori hanno non di rado un gusto anche un po’ pulp (che comunque attira migliaia di click), come quello postato all’inizio dello scorso anno da Lindsay Ejoh (alias @neuro_melody, 20 mila follower su TikTok e oltre 50 mila su instagram), nell’atto di dissezionare un cervello di topo congelato a fettine sottili come l’aria, per poi analizzarlo al microscopio.

E per capire l’interesse e l’ammirazione che questi post in camice e bisturi suscitano, c’è anche chi scrive nei commenti ‘che vita cool che hai!’, che certo potrebbe rappresentare un incentivo a intraprendere la carriera di ricercatore, in Italia talmente sottopagata da innescare fughe di massa di cervelli verso nazioni decisamente più ‘cool’ da un punto di vista della remunerazione.

Ma tornando ai social, tra le schiere dei ricercatori ormai si annoverano tanti ‘influencer’, che è poi il gradino al vertice della scala dei ‘content creator’. E se il social preferito della categoria ‘ricercatori’ fino a qualche tempo fa era Twitter (X), con l’appendice di LinkedIn per i già affermati sul mondo del lavoro, da qualche tempo i giovani cervelli di laboratorio hanno invaso con i loro esperimenti e protocolli di ricerca anche gli altri social, da TikTok a Instagram, offrendo suggerimenti, creando network e condividendo risultati.

Tutti con un flair decisamente ‘pop’. La giornata di molte influencer-ricercatrici inizia e si chiude spesso con i post della loro skin care, altre si postano durante la sessione di make up mattutino come fa Zoe, mentre nel loro inner dialogue mandano a quel paese superiori e colleghi molesti. Altre ancora postano le attività della routine giornaliera, sulle note di un rilassante reggaeton giamaicano come fa Minty Scott, iscritta anche al programma ‘influencer’ di Amazon.

Un modo per sdrammatizzare l’immagine degli scienziati, avvicinarli alla gente comune e intanto tirar su un po’ di argent de poche. Ma certo tutto ha un prezzo, che nel caso dei social si misura in termini di ore passate a creare stories e reel. Per non parlare delle schiere di criticoni e haters sempre pronti a gettare fango su tutto e  tutti, a scapito della reputazione di questi scienziati in erba.

Ma nel caso di Lindsay Ejoh, la sua finestra social sul modo è anche un modo per abbattere gli stereotipi sul mondo della ricerca e per invogliare tanti potenziali PhD, scoraggiati dalle barriere accademiche, soprattutto se appartenenti a qualche minoranza etnica o al mondo delle donne. Nel caso di Yasmin Meeda, studentessa di biologia marina all’Università di Exeter (GB), i social sono diventati anche una fonte di guadagno, grazie alle partnership con una serie di company biotech che tengono d’occhio il lievitare del numero dei suoi follower, appassionati dei suoi studi sulle alghe marine.

Certo non siamo agli irraggiungibili livelli delle Kardashian (Yasmin guadagna 250-1.900 dollari per post), comunque sufficienti per mettere anche qualcosa da parte. I social d’altronde sono una fonte di reddito non trascurabile per tanti influencer, visto che il mercato della pubblicità è stimato intorno ai 35 miliardi di dollari l’anno.

Anche le persone con disabilità possono ambire ad una carriera nel mondo della ricerca; è il mantra di Ellie Hurer, 88 mila follower su Instagram (@myphdexperience) e oncologa presso l’Università di Hertfordshire (GB). Ellie soffre di una serie di condizioni croniche, dalla depressione, al disturbo d’ansia, all’ADHD, a tumori benigni (che per una serie di interventi l’hanno tenuta lontana dalle ricerche per tre anni), ma è molto impegnata in studi sul tumore del pancreas. E un suo post sul fatto che ‘anche con tutte queste cronicità e disabilità si può arrivare ovunque, basta crederci e perseverare’ ha riscosso migliaia like e tanti commenti di apprezzamento da parte di studenti ispirati dalla sua forza, anche se alternati a quelli che commentano le sue labbra ‘fillerate’.

Un reel ben confezionato le costa una decina di ore di lavoro, ma viene pagato dai suoi sponsor anche 1.500 sterline. La cosa che raccomanda Ellie è di non farsi però prendere troppo la mano; a quota 20 mila follower era stata presa dall’ebbrezza del post e della rincorsa dei numeri. Decisamente poco raccomandabile per la salute mentale.

Lavora invece presso l’Università Cinese di Hong Kong Ria Chopra, una biologa oncologa che, per una sorta di nemesi, ha raccontato sui social il lavoro notturno presso il suo laboratorio di ricerca, finendo poi a lavorare su progetti di ricerca su come un’alterazione del riposo notturno possa favorire la comparsa di alcuni tumori. Anche Ria molti dei suoi follower se li è guadagnati postando immagini pulp di pezzi di tumore, variamente lavorati in laboratorio con un sottofondo di musica dance. Che è un po’ la sua firma social, ricordata anche dal suo account @phdwhodances. E nei suoi piani ‘editoriali’ futuri, ha già annunciato che documenterà la sua transizione dal mondo della ricerca accademia a quello di una company biotech o farmaceutica.

Infine, c’è tutta la categoria dei post che raccontano con video in time-lapse i risultati di anni e anni di ricerche, coronati dalle congratulazioni degli esaminatori e da frasi motivazionali come quello postato da Noor Shafka (3,3 milioni di like) o quello che ritrae la gioia incontenibile, con tanto di salti e balletto, di Yassin Elmahgoub alla notizia del suo primo lavoro accettato per la pubblicazione. Il journey social della ricerca è servito!

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