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Olimpiadi: la sindrome dell’impostore minaccia gli atleti

Olimpiadi Parigi

A metà degli anni 2010 Jason Kidd e Kweku Smith si sono incrociati, il primo come capo allenatore dei Milwaukee Bucks il secondo come psicologo della squadra Nba. Kidd, due volte olimpionico che ha aiutato la squadra di basket maschile degli Stati Uniti a vincere l’oro nel 2000 e nel 2008, secondo Smith avrebbe sfidato i giocatori chiedendo loro come avrebbero potuto migliorare ogni giorno.

Alla fine Kidd ha chiesto a Smith quale fosse il suo sogno. “Gli ho detto: ‘Beh, forse un giorno, io e te torneremo alle Olimpiadi, tu come allenatore e io come psicologo della squadra, e vinceremo un’altra medaglia d’oro'”, racconta Smith a Fortune, ammettendo che stava scherzando solo a metà.

Kidd, ora capo allenatore dei Dallas Mavericks, non è diretto alle Olimpiadi di Parigi; Steve Kerr dei Golden State Warriors allenerà infatti il Team Usa. Ma sarà Smith a fare il suo debutto ai Giochi di Parigi, meno di un anno dopo essersi unito al Comitato olimpico e paralimpico degli Stati Uniti come psicologo. Se la sindrome dell’impostore minaccia anche gli sportivi, “il mio obiettivo numero uno è fare tutto ciò che posso per aiutare gli atleti americani, e anche gli atleti di altre aree che potrebbero non avere un supporto nel nostro [campo], per offrire loro il miglior servizio possibile”, dice Smith a Fortune. In che modo?

Smith afferma che lui e i suoi colleghi saranno reperibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7 durante le Olimpiadi e le Paralimpiadi, pronti a prendersi cura della salute mentale degli atleti, che siano in crisi o abbiano semplicemente bisogno di qualcuno che li ascolti. Gli atleti sono liberi di fissare un appuntamento con uno psicologo o di chiamarne uno nel Villaggio olimpico o nell’arena. Lo staff è lì per supportare il Team Usa senza pregiudizi, puntando a ridurre lo stigma.

“La salute mentale è come la salute fisica. In effetti, è la stessa cosa”, afferma Smith. “Non puoi separare la salute fisica dalla salute mentale e la salute mentale da quella fisica, e penso che questa sia una delle cose che avvantaggia davvero gli atleti. Se il nostro obiettivo è assicurarci di avere i migliori atleti, vogliamo non solo garantire la migliore assistenza medica, ma anche la migliore assistenza emotiva”.

Gli atleti non devono aspettare di avere difficoltà mentali o emotive per consultare uno psicologo della squadra, sottolinea Smith. “Quando parliamo di salute mentale, le persone ragionano dal punto di vista della malattia, non dal punto di vista del benessere”, afferma Smith. “Ebbene, credo che puoi diventare una persona migliore, un atleta migliore. Quindi, se possiamo dare loro delle strategie per la vita di tutti i giorni, questo paga anche nel mondo dello sport”.

Se sei mai stato un atleta, probabilmente hai provato un certo nervosismo prima della partita o ti sei sentito un fallito quando non hai ottenuto le prestazioni che speravi. Ora, immagina di dover elaborare sentimenti simili sotto gli occhi del mondo.

Insomma, quello delle Olimpiadi è un appuntamento che mette alla prova la tenuta psicologica. Gli atleti “sono esseri umani. L’unica avvertenza è che vivono in un mondo diverso rispetto alla maggior parte delle persone”, afferma Smith. “La maggior parte delle persone non deve fare i conti con la pressione di rischiare un fallimento davanti agli occhi del mondo intero”.

Oltre a praticare la psicologia clinica, lo staff dei servizi psicologici del Team Usa è composto da consulenti certificati per le prestazioni mentali, afferma Smith. Questa designazione, secondo l’Associazione per la psicologia sportiva applicata, significa che gli operatori sanitari sono appositamente formati per aiutare gli atleti con problemi come l’ansia da prestazione e il recupero da infortuni.

“In un ambiente olimpico in cui possono emergere nervosismo, ansia, ripensamenti, sindrome dell’impostore”, afferma Smith, “è bello avere qualcuno che rinforzi quella sicurezza che potrebbe essere svanita per un momento. Il nostro obiettivo è ricordare agli atleti loro quanto sono speciali e aiutarli a fare ciò per cui sono nati e si sono allenati”. Insomma, la psicologia dello sport avrà un posto importante alle Olimpiadi di Parigi.

L’articolo completo è su Fortune.com.

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