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Siccità, la ricerca del Cnr per limitare i danni del comparto agricolo

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Oltre 2,7 miliardi di euro. È questa al momento la stima delle perdite del solo comparto agricolo siciliano, messo in ginocchio da una siccità che di anno in anno non manca di superare sé stessa. In altre parole: va sempre peggio. E ieri lo ha denunciato anche il New York Times con un lungo reportage sugli effetti economici di una delle crisi idriche più drammatiche degli ultimi decenni.

A fine giugno Confcooperative aveva già lanciato l’allarme, parlando di una “situazione drammatica con interi settori, quali i cereali, l’ortofrutta, la zootecnia e la viticoltura”, con tutta la produzione a rischio. Per fare 1 chilo di grano servono 1000 litri d’acqua, ma gli invasi di molte regioni del Sud Italia sono praticamente vuoti. Il sillogismo è presto fatto. E allora si studia come risparmiare l’acqua, come portare le piante a consumarne il meno possibile. Massimo Galbiati, genetista dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria (Ibba) del Cnr, ha spiegato a Fortune Italia gli sforzi fatti dalla ricerca per arrivare alla riduzione del fabbisogno idrico di alcune colture.

“Usiamo un approccio genetico – spiega il ricercatore – inseguendo fondamentalmente due obiettivi: da un lato quello della resistenza alla siccità, che porterebbe a perdite minori nella produzione; dall’altro quello della diminuzione del fabbisogno d’acqua”. Per ottenere questi risultati, spiega Galbiati, il suo gruppo è al lavoro su tre diversi progetti.

“Il primo ha a che fare con la perdita d’acqua dalle foglie: stiamo intervenendo sui geni che regolano l’apertura e la chiusura degli stomi (i pori delle pianti, ndr), in modo da ridurre l’inefficienza del processo di traspirazione”. L’esito di questo filone di ricerca farebbe ben sperare ma ad oggi, per la legislazione europea, colture di questo genere sono ancora considerate organismi geneticamente modificati (Ogm) e dunque non è possibile testare le piante all’aperto.

“Un altro tentativo che stiamo portando avanti – continua Galbiati – è invece sui geni che controllano la cuticola, quello strato impermeabile che riveste la foglia, per renderla più robusta e quindi ottenere piante più impermeabili”. In questo caso il progetto segue un approccio genetico tradizionale di selezione delle linee, che possono così essere testate anche fuori dalle serre.

“L’ultimo filone di ricerca riguarda invece un ormone, l’acido abscissico, che regola la risposta delle piante a situazioni di stress come quelle prodotte dalla siccità. L’obiettivo è arrivare ad avere colture più pronte a rispondere agli eventi estremi”, aggiunge Galbiati.

I tempi della ricerca sono ovviamente molto lunghi. Per i progetti considerati si parla di circa 20 anni. La siccità sembra muoversi in modo decisamente più veloce, quindi, almeno da un punto di vista burocratico serve accelerare: “Le premesse ci sono tutte – prosegue il ricercatore – così come le proposte portate in Parlamento per deregolamentare l’uso di queste piante fuori dal laboratorio. Di recente è stata anche approvata la prima prova sperimentale in un campo di riso”. Anche perché, andando avanti di questo passo, si stima di perdere circa il 20% della produzione agricola, con specie come il mais e il pomodoro tra le più colpite. 

Intanto oggi, 25 luglio, in Sicilia inizia la raccolta dell’uva. Con queste temperature è già tempo di vendemmia.

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