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Liste d’attesa, che cosa cambia con la nuova legge

Schillaco decreto liste d'attesa

Già solo avere un’idea delle attese necessarie per alcune visite ed esami può diventare complicato nel nostro Paese. Ma cosa cambia dopo il disco verde della Camera al Dl sulla riduzione delle liste di attesa nella sanità?

Le novità

Con la nuova legge “diamo risposte concrete ai cittadini e maggiore efficienza al servizio sanitario nazionale”, assicura il ministro della Salute, Orazio Schillaci, illustrando le novità del provvedimento. “La nostra priorità è tutelare il diritto alla salute degli italiani e lo facciamo attraverso un nuovo sistema di monitoraggio finalmente efficace e strumenti di controllo che vedono in prima linea le Regioni e il ministero della Salute, con un Organismo che potrà attivare poteri sostitutivi, in caso di inadempienza”.

Non solo. Si abolisce “il tetto di spesa per le assunzioni di personale, diamo ulteriori incentivi al personale con la detassazione delle prestazioni aggiuntive e garantiamo che ai cittadini sia sempre erogata la prestazione: se non ci riesce il servizio pubblico, si ricorre all’intramoenia o al privato accreditato. Non ci sono regali ai privati – scandisce il ministro – Al contrario, il privato accreditato dovrà fare pienamente la propria parte mettendo a disposizione tutta l’offerta di prestazioni nel Cup unico regionale”.

Inoltre si sostengono “le Regioni del Sud, con interventi di adeguamento tecnologico e formazione di personale per potenziare l’assistenza sociosanitaria”, sottolinea il ministro.

Il parere del medici ospedalieri

“L’abolizione del tetto di spesa per il personale è un’ottima notizia – commenta a Fortune Italia Pierino Di Silverio, segretario Anaao-Assomed – ma riteniamo che il meccanismo con cui dovrà essere attuata sia farraginoso, perchè non riusciamo a capire chi, quando e come dovrà sostituire il tetto di spesa con dei fabbisogni che, ci auguriamo, ricevano il parere delle parti sociali”.

Quanto all’impatto reale del decreto, Di Silverio appare scettico: “Non risolverà purtroppo i problemi delle liste d’attesa, perchè al netto di alcuni accorgimenti organizzativi che ci sentiamo di condividere, come la regionalizzazione del Cup, non contiene delle norme atte a salvaguardare e incentivare il lavoro ordinario, come peraltro noi chiediamo. Insomma, è un decreto basato sul lavoro straordinario, ma già oggi i medici dirigenti lavorano più di 60 ore settimanali, ai limiti della legge europea sui riposi. C’è una carenza infrastrutturale che continua ad avanzare, sia in ingresso che in uscita. Per quanto poi la defiscalizzazione delle prestazioni aggiuntive sia un ottimo segnale che sdogana il concetto di lavoro del medico, non sarà davvero utile, come anche lavorare nei weekend. E questo perchè non ci sono medici”.

Per combattere le liste d’attesa “bisogna rendere più appetibile la professione – sottolinea Di Silverio – premiare il lavoro ordinario attraverso la defiscalizzazione delle indennità di specificità e incentivare i medici in formazione, facendo sì che i 50mila specializzandi oggi a disposizione possano completare la formazione in ospedale ed essere pronti prima e meglio ad affrontare le sfide del Ssn”.

I tempi estremi

A proposito di sfide, quello delle liste d’attesa è un tema caldo non solo al Meridione. Stando ai dati rilevati da Cittadinanzattiva attraverso l’analisi dei siti regionali sulle liste d’attesa, nell’Azienda universitaria Friuli Centrale si attendono in media, per prestazioni programmabili, 498 giorni per l’ecografia addome e 394 giorni per la visita ginecologica, mentre nella Azienda sanitaria 3 Ligure sono 427 i giorni di attesa per una visita cardiologica programmabile.

L’indagine di Cittadinanzattiva si è concentrata sull’analisi dei tempi di attesa di 6 prestazioni, in tutte le Regioni: prima visita cardiologica, prima visita pneumologica, prima visita ginecologica, prima visita oncologica, ecografia addome completo, mammografia.

Stando al report, solo 9 Regioni su 20 forniscono online l’aggiornamento dei tempi di attesa a giugno 2024 (Lazio, Emilia-Romagna, Toscana, Liguria, Valle d’Aosta, Umbria, Friuli, Calabria e Alto Adige); la Lombardia ed il Piemonte lo fanno soltanto per alcune Asl; le restanti regioni arrivano al massimo a maggio 2024 (il Molise è fermo al 2023).

Quanto si attende al Cup

Se ormai tutte le regioni sono provviste di Cup, che risultano centralizzati in 13 Regioni, mentre sono divisi per zone/asl nelle restanti 7 (Calabria, Sicilia, Puglia, Campania, Veneto, Sardegna e Toscana), i tempi di attesa per parlare con l’operatore si sono mostrati “nella stragrande maggioranza piuttosto ragionevoli”, commentano da Cittadinanzattiva.

Il migliore è il Cup della Regione Lazio, con soli 2 minuti e 15 secondi di attesa; seguono i Cup di Lombardia, Puglia, Sardegna, Campania e Basilicata, con un’attesa massima sempre inferiore ai 3 minuti. Nelle altre Regioni invece il tempo di attesa oscilla dai 3 minuti e 20 secondi dell’Ulss 4 del Veneto, fino agli oltre 18 minuti registrati per l’Asl di Genova. “Nonostante diversi tentativi, non si è riusciti a parlare con gli operatori dei Cup di Usl Toscana Centro, di Valle d’Aosta e del Friuli”, si legge nel report.

 

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