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Payback dispositivi medici: la Consulta gela le imprese, i rischi

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Lunedì nero per le imprese dei disposivi medici. Con due sentenze destinate a passare alla storia (n. 139 e n. 140), la Corte costituzionale si è pronunciata sul payback per i dispositivi medici. In estrema sintesi, la Corte ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, quanto al periodo 2015-2018. La misura presenta di per sé diverse “criticità”, ma per la Consulta non risulta “irragionevole, nè sproporzionata”. Inoltre a tutte le imprese fornitrici è ora riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48%. Una doccia gelata sulle 4.641 aziende del settore, che danno lavoro a 117.607 dipendenti.

La reazione delle imprese

“La pronuncia di rigetto della Corte costituzionale sull’incostituzionalità del meccanismo del payback sui dispositivi medici versa un intero comparto e tutta la filiera italiana del settore in una crisi irreversibile”, prevede il presidente di Confindustria Dispositivi Medici, Nicola Barni. Parliamo di un comparto ‘vivace’, che vale 18,3 miliardi di euro tra export e mercato interno.

“Gran parte delle imprese – dice Barni – non solo saranno nell’impossibilità di sostenere il saldo di quanto richiesto dalle regioni, ma saranno altresì costrette ad avviare procedure diffuse di mobilità e licenziamento, ad astenersi dalla partecipazione a gare pubbliche e, in molti casi, a interrompere completamente la propria attività in Italia”.

Il payback “genererà una crisi senza precedenti da un punto di vista economico, occupazionale e sanitario”, concordano da Fifo Sanità Confcommercio. “Si chiedono 1,2 miliardi alle imprese su bilanci già chiusi, in forma retroattiva per gli sforamenti delle Regioni maturati fino al 2018 e altri miliardi per gli anni successivi. Ci sono aziende che hanno un payback di oltre il 100% del proprio fatturato: l’unica soluzione sarà portare i libri in tribunale e lasciare a casa migliaia di lavoratori con gravi danni per le forniture di dispositivi medici agli ospedali”, tuona la presidente Sveva Belviso, prospettando uno stop delle forniture agli ospedali.

“Siamo esterrefatti di fronte ad una decisione del genere, che reputiamo assurda e che legittima, di fatto, una normativa che, con un artifizio, accollerà i debiti pubblici alle aziende private”, dichiara Gennaro Broya de Lucia, presidente di PMI Sanità. “La Consulta – aggiunge Broya de Lucia – ha definito il payback come un ‘contributo di solidarietà’, senza però comprendere che con l’applicazione di tale dispositivo migliaia di micro, piccole e medie imprese finiranno sul lastrico con gravi ricadute sul Servizio Sanitario Nazionale stesso“.

Le due sentenze

Facciamo un passo indietro. La disciplina principale sul payback è contenuta nell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015. Le disposizioni di questo articolo stabiliscono un tetto alla spesa regionale per i dispositivi medici. Se la regione supera il tetto, le imprese che forniscono i dispositivi ai Servizi sanitari regionali sono tenute a contribuire parzialmente al ripiano dello sforamento. Per gli anni dal 2015 al 2018 è espressamente prevista la procedura di determinazione dell’ammontare del ripiano a carico delle singole imprese (comma 9-bis, inserito nel 2022 nell’art. 9-ter menzionato).

Vi sono poi le norme contenute nell’art. 8 del decreto legge n. 34 del 2023. Queste disposizioni hanno istituito un fondo statale da assegnare pro-quota alle regioni che nel periodo in questione abbiano superato il tetto di spesa. Esse hanno inoltre consentito alle imprese fornitrici dei dispositivi di versare solo il 48% della rispettiva quota di ripiano, a condizione però che rinunciassero a contestare in giudizio i provvedimenti relativi all’obbligo di pagamento. La Corte si è occupata dapprima, su ricorso della Regione Campania, delle disposizioni del 2023 e, con sentenza n. 139, le ha dichiarate incostituzionali nella parte in cui condizionavano la riduzione dell’onere a carico delle imprese alla rinuncia, da parte delle stesse, al contenzioso. La conseguenza è che ora a tutte le imprese fornitrici è riconosciuta la riduzione dei rispettivi pagamenti al 48%.

Con la successiva sentenza n. 140 la Corte, su rimessione del Tar Lazio, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9-ter del decreto legge n. 78 del 2015, quanto al periodo 2015-2018. La Corte ha precisato che, in relazione a tale periodo, il legislatore ha dettato una disciplina apposita per il ripiano dello sforamento dei tetti di spesa, e le regioni, con propri provvedimenti, hanno richiesto alle imprese le somme da esse dovute.

La sentenza ha rilevato che il payback presenta di per sé diverse criticità, ma non risulta irragionevole in riferimento all’art. 41 Cost., quanto al periodo 2015-2018. Esso, infatti, pone a carico delle imprese per tale arco temporale un contributo solidaristico, correlabile a ragioni di utilità sociale, al fine di assicurare la dotazione di dispositivi medici necessaria alla tutela della salute in una situazione economico-finanziaria di grave difficoltà. Il meccanismo non risulta neppure sproporzionato, alla luce della significativa riduzione al 48% dell’importo originariamente posto a carico delle imprese, riduzione ora riconosciuta incondizionatamente a tutte le aziende in virtù della sentenza n. 139.

Il contraccolpo

“La sentenza della Consulta ci lascia sbigottiti”, dichiara a caldo Sveva Belviso, presidente di Fifo (Federazione italiana fornitori in sanità) Sanità Confcommercio. “Il payback genererà una crisi senza precedenti da un punto di vista economico, occupazionale e sanitario. Secondo lo studio Nomisma rischiano il fallimento oltre 1.400 aziende e il licenziamento 190mila addetti. Verrà meno una gran parte della fornitura agli ospedali di dispositivi medici anche salvavita come stent, valvole cardiache e quant’altro. Ci chiediamo come il personale sanitario riuscirà a garantire le regolari cure ai cittadini negli ospedali”.

L’appello al Governo

A questo punto Confindustria Dispositivi Medici chiede con forza al Governo “l’immediata convocazione e costituzione di tavoli per gestire la crisi del comparto. Con questa sentenza non si è considerato che le imprese potrebbero non essere in grado di provvedere alle forniture, con un’inevitabile ripercussione sulla capacità del sistema di garantire la tutela della salute dei pazienti”, scandisce Nicola Barni.

Anche per Fifo “è urgente un confronto con il Governo Meloni per risolvere una situazione che sta precipitando. Da anni, ancor prima dell’uscita dei decreti attuativi del Governo Draghi, abbiamo chiesto con forza l’istituzione di tavoli tecnici per definire una strategia di superamento del payback, ma, nonostante i nostri sforzi sia a livello nazionale che regionale, nessuna parte politica ha preso seriamente in considerazione l’emergenza del nostro settore”.

Dal canto suo PMI Sanità chiede al Governo “di convocare, in tempi brevi, un tavolo di crisi per l’imminente rischio fallimento per oltre 2.000 aziende italiane, con la perdita di circa 200mila posti di lavoro”, sottolinea Broya de Lucia.

“Non ci fermeremo, perché non abbiamo alternative. Per questo, qualora le Istituzioni continuassero ad ignorarci, valuteremo nell’immediato con i vertici della Federazione, le imprese e i nostri legali un’interruzione delle forniture di dispositivi medici a livello nazionale”, conclude Belviso.

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