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Hiv: la lezione del settimo paziente guarito al mondo

staminali Hiv

Il virus dell’Hiv è sparito dal suo organismo da più di 5 anni. E questo nonostante il ‘secondo paziente di Berlino’ abbia interrotto la terapia con farmaci antiretrovirali dal 2018. Ha fatto il giro del mondo la notizia della settima guarigione dall’Hiv, verificatasi in un paziente positivo sottoposto a trapianto di staminali (prelevate da un donatore non immune all’Hiv). Ma cosa è successo, e qual è la lezione che arriva da questa notizia?

Fortune Italia lo ha chiesto a Massimo Ciccozzi, responsabile dell’unità di Statistica medica ed Epidemiologia del Campus Bio-Medico di Roma. Che invita alla cautela: “Questa non è una cura per i milioni di persone nel mondo positive all’Hiv. La ricerca va avanti, ma l’approccio descritto dai ricercatori è estremo, rischioso e molto costoso”. Vediamo meglio di che si tratta.

Il primo caso al mondo

Cominciamo con ricordare la storia del primo ‘paziente di Berlino’: Timothy Ray Brown, passato alla storia come la prima persona al mondo a essere guarita dall’Hiv, dopo un trapianto di cellule staminali. Da allora altre 5 guarigioni post-trapianto sono finite sotto i riflettori. Ora la Charité – Universitätsmedizin Berlin, che all’epoca trattò Brown – poi morto negli Stati Uniti nel 2020 a 54 anni per una recidiva della leucemia – annuncia di aver curato il secondo paziente, affetto sia da leucemia mieloide acuta che da Hiv.

Il secondo paziente di Berlino

Come si legge su Adnkronos Salute, si tratta di un 60enne positivo all’Hiv dal 2009, che ha ricevuto la diagnosi di leucemia nel 2015. “In questo caso – dice Ciccozzi – il paziente ha effettuato il trapianto nel 2015 per una leucemia mieloide acuta. Sarebbe dunque il settimo caso al mondo. La peculiarità è che finora il donatore di cellule staminali era selezionato fra persone con caratteristiche genetiche molto specifiche. Parliamo di una mutazione particolare, che rende le persone naturalmente resistenti all’Hiv. Con il trapianto di staminali si tende, dunque, a fare in modo che l‘Hiv non si riproduca più all’interno delle cellule immunitarie. Intaccando la riserva virale che tende a riemergere nel tempo, alimentando l’infezione”.

Circa l’1% della popolazione europea è portatore della mutazione delta 32, che impedisce al virus di entrare, rendendo queste persone naturalmente immuni all’Hiv. “Serve dunque trovare un donatore con questa mutazione, quindi immune, e compatibile con il paziente ricevente”, aggiunge Ciccozzi, ribadendo che “non si tratta della cura per tutti: ma di un intervento molto costoso, rischioso e complesso”.

La peculiarità

Per il secondo paziente di Berlino, però, i medici non sono riusciti “a trovare un donatore di cellule staminali compatibile che fosse immune all’Hiv, ma siamo riusciti a trovarne una le cui cellule hanno due versioni del recettore Ccr5: quella normale e una mutata”, ha detto Olaf Penack, medico senior del reparto che ha in cura il paziente. “Questo accade quando una persona eredita la mutazione delta 32 da un solo genitore”.

Sebbene la donatrice non fosse immune, il trapianto di cellule staminali ha avuto successo nel curare il paziente dall’Hiv dopo l’interruzione degli antivirali. L’uomo è stato monitorato molto attentamente e, fino a oggi, il team che lo segue non è stato in grado di trovare alcuna indicazione che il virus persista nel suo organismo. Il sistema immunitario del paziente è funzionante e non ci sono cellule tumorali rilevabili.

C’è però un elemento di cui tenere conto: il secondo paziente di Berlino, proprio come la donatrice, faceva parte del circa 16% di persone di origine europea con una versione normale e una mutata del recettore Ccr5 nelle loro cellule. Non è chiaro se questo dettaglio abbia contribuito alla guarigione.

Abbiamo una cura?

Cosa sappiamo allora? “I casi come quello di Berlino sono pochi: questa non è una cura per tutti – ribadisce Ciccozzi – Si tratta di interventi molto costosi, ad alto rischio e che rappresentano un po’ l’ultima spiaggia. Insomma, non è una soluzione per 40 milioni di persone positive all’Hiv. Il cardine resta la terapia antiretrovirale da assumere per tutta la vita”, sottolinea l’epidemiologo.

“Un messaggio importante è quello della prevenzione: dall’Hiv ci si può difendere – ricorda l’esperto – con un’attenzione ai comportamenti a rischio e con la Prep, la profilassi pre-esposizione. L’altra speranza arriva da Crispr: una sorta di forbice genetica per tagliare il Dna dell’Hiv dalle cellule infette in segmenti specifici del codice genetico, con l’aiuto dell’Rna guida (gRna). Il fatto è che gli effetti di questo approccio, al momento, sono limitati agli studi. Insomma, c’è ancora tanta strada da fare, ma non dobbiamo dimenticare che le terapie anti-retrovirali hanno cambiato la vita dei pazienti”.

Le criticità

Nel 2022 le nuove diagnosi di infezione da Hiv in Italia sono state 1.888, pari a 3,2 nuovi casi per 100.000 residenti, secondo l’Istituto superiore di sanità. “Il problema è il ritardo alla diagnosi: sei persone su 10 scoprono di essere positive al virus quando l’infezione è già in fase avanzata. Insomma, la ricerca va avanti, quella che arriva da Berlino è una buona notizia ma la prevenzione resta la cosa più importante”, conclude Ciccozzi.

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