Lasciamoci il passato alle spalle: per Kamala Harris è arrivata l’occasione di ricominciare la sua corsa verso lo Studio ovale dopo la brusca interruzione della sua campagna nel 2019. “Unburdened by what has been”, direbbe lei.
Dopo il ritiro di Joe Biden, la nomination del partito democratico per la corsa alla Casa Bianca verrà decisa nella convention di Chicago dal 19 al 22 agosto. Nonostante tecnicamente sia ancora possibile che altri possano candidarsi, è lecito affermare che la favorita numero uno, sostenuta proprio dal Presidente, sia la sua vice. Che ora, a differenza del 2019, potrà godere di una macchina elettorale (la campagna Biden-Harris) già ben impostata (con 1.000 persone al lavoro) e ora ancora più ricca: sono stati raccolti quasi 47 mln di dollari subito dopo l’annuncio di Biden, da sommare ai 96 raccolti dall’inizio di luglio.
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Il percorso di Harris
Anche l’ex presidente Barack Obama, che non l’ha direttamente citata, ha ricordato che nella nomination c’è un processo da seguire: confida nei leader del partito e nella loro capacità di “creare un processo dal quale emerga un candidato eccezionale”. Non è un assist alla moglie Michelle (l’opzione non esiste), ma un promemoria utile per ricordare che debbano essere rispettate le formalità del processo di nomination, di cui la stessa Harris è consapevole. Intanto anche alcuni dei nomi alternativi a Harris (Josh Shapiro, Roy Cooper, Mark Kelly) hanno già annunciato il loro sostegno alla vicepresidente.
Cosa dirà Kamala Harris e il flop della prima campagna
Su quali concetti punterà Kamala Harris durante la sua nuova campagna presidenziale? Molto probabile un riferimento a Trump e ai pericoli per la democrazia in caso di vittoria Repubblicana, come ripetuto anche da Obama dopo il ritiro di Biden, che nel suo post di endorsement ha ricordato che la decisione di scegliere lei come running mate nel 2020 è stata “la migliore che abbia mai preso”.
Gli spunti si sprecano: se vincesse, Harris sarebbe la prima donna, la prima donna nera e la prima persona di origine asiatica a diventare Presidente. Ma tra gli errori che le sono stati imputati nel 2020, quando a prevalere nella corsa democratica fu Biden, c’era proprio l’essersi rivolta a una fetta troppo specifica di elettorato. La prima campagna presidenziale di Harris, nel 2019, si concluse prima dell’inizio delle primarie perché non c’erano più soldi e per problemi di organizzazione.
È possibile che dei suoi speech da candidata presidenziale farà parte quello che è lo slogan personale di Harris; forse lo sentiremo sempre più spesso nei mesi che ci separano dallo showdown di novembre con Donald Trump.
Unburdened by what has been
“What can be, unburdened by what has been” è una delle frasi preferite di Harris (come mostra questo video) e le ha attirato anche qualche critica da destra per la ripetitività. Ma il significato di quella frase (concentrarsi sulle potenzialità del futuro e non sui problemi del passato) sembra particolarmente adatto per inaugurare una campagna presidenziale che comincia in maniera particolarmente caotica, soprattutto per la stessa Harris, che in poco tempo dovrà far dimenticare quelli che sono considerati i suoi punti deboli e sfidare un Trump saldamente al comando della sua campagna e uscito rafforzato dall’attentato in cui è rimasto lievemente ferito.
Un esempio è l’immigrazione: Harris è stata molto criticata per l’atteggiamento verso la crisi al confine Usa-Messico.
Tra i temi che potrebbero caratterizzare la campagna dell’ex procuratrice c’è il clima (secondo Politico, Harris potrebbe spingersi più avanti anche sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici, dal momento che nel 2019 aveva proposto un piano da 10 trilioni di dollari, molti più del piano da 1,6 trilioni che Biden ha varato con una serie di leggi durante il suo mandato) e la difesa dell’aborto e dei diritti riproduttivi delle donne. È possibile che diventino centrali, visto che hanno occupato buona parte della vicepresidenza di Harris post Row vs Wade, l’abolizione del diritto costituzionale all’aborto da parte della Corte Suprema a maggioranza repubblicana.
Le manovre in fretta e furia di Harris
Gli ultimi giorni sono stati frenetici per Harris, che ha saputo della decisione a ridosso dell’annuncio di Biden – maturata durante il suo ritiro nella sua casa di Rehoboth Beach, nel Delaware. D’altronde anche i più stretti collaboratori del presidente, tra cui Steve Ricchetti e Mike Donilon, erano stati informati poche ore prima.
Secondo quanto riportato dalla Cnn, prima che il presidente annunciasse il ritiro della sua candidatura alla rielezione, la vicepresidente ha avuto diverse conversazioni telefoniche con Biden. Harris ha poi trascorso più di 10 ore telefonando a oltre 100 leader di partito, membri del Congresso, governatori, dirigenti sindacali e leader di organizzazioni per i diritti civili e di difesa dei diritti.
La vicepresidente ha anche chiamato il suo pastore, Amos Brown III, ha aggiunto la fonte della Cnn. In ciascuna di queste chiamate, la Harris ha chiarito di essere estremamente grata per l’appoggio del presidente, ma che ha intenzione di impegnarsi duramente per guadagnarsi la nomination democratica a pieno titolo, come aveva affermato dopo l’annuncio del presidente Biden.
L’appoggio dei democratici
A confermare come la favorita numero uno alla corsa democratica per la Casa Bianca sia Harris, sono arrivati gli endorsement dei leader del partito, tra cui anche i Clinton e la Senatrice Elizabeth Warren. “Domenica sera, la stragrande maggioranza dei presidenti e dei leader dei partiti democratici statali hanno annunciato il loro sostegno alla vicepresidente Kamala Harris come candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti d’America”. Lo ha scritto su X il presidente dell’Associazione dei comitati democratici statali Ken Martin, parlando “a nome dei 57 partiti democratici del paese e del mondo” e aggiungendo che “i presidenti, i vicepresidenti e i direttori esecutivi dei partiti statali in tutto il paese si stanno unendo in modo schiacciante dietro la vicepresidente Kamala Harris”.
“Questi leader dei partiti statali sono in prima linea per vincere le elezioni a tutti i livelli – prosegue la nota – e sappiamo che la posta in gioco di queste elezioni non potrebbe essere più alta. Non c’è nessuno più qualificato del vicepresidente Harris contro Donald Trump. Quasi 15 milioni di democratici hanno già votato per il vicepresidente Harris. In qualità di partner del presidente Biden alla Casa Bianca, la vicepresidente Harris è stato una pietra angolare degli straordinari successi di questa amministrazione. Ed è la candidata più qualificata per continuare l’eredità e servire come presidente”.
Sono oltre 500 i delegati democratici che, secondo la Cnn, sono già pronti a sostenere la vicepresidente Kamala Harris nella sua corsa alla Casa Bianca. Un numero che continuerà a crescere, prosegue la Cnn, sia perché sempre più delegati si schiereranno a sostegno della vicepresidente, sia perché si continuerà a lavorare per raggiungere i circa 4.700 delegati totali della Convention nazionale democratica che si terrà ad agosto a Chicago. Va ricordato che gli endorsement non sono vincolanti e che il ritiro di Joe Biden ha una conseguenza anche sul processo di nomination: i delegati sono liberi di votare per il candidato di loro scelta.