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Se la creatività è scritta nel Dna (ma si può coltivare)

cervello creatività

A volte, nei meeting di lavoro, guardiamo con un pizzico d’invidia chi, di colpo, trova una soluzione al problema di cui si discute con un ragionamento solo apparentemente divergente rispetto a quanto si è detto. E ci chiediamo come sia possibile che questa sorta di “pensiero laterale” possa innestarsi perfettamente nel percorso di ragionamento che a fatica stiamo portando avanti nel team. Per poi arrivare alla domanda finale. Quale percorso può aver fatto il collega per giungere ad una soluzione creativa che spariglia i giochi?

E, soprattutto, la creatività può essere un patrimonio quasi geneticamente determinato o piuttosto è una dote da coltivare, magari anche partendo da posizione meno avanzate nel processo che porta ad individuare innovazioni di pensiero apparentemente impossibili, se si segue un pensiero logico e consecutivo?

Se vi siete posti questa domanda, provate a tornare indietro nel tempo. E retrocedete fino all’infanzia. Perché il pensiero produttivo, che consente di individuare soluzioni del tutto nuove, ha origine quasi dai primi vagiti. Ed è fin da piccoli che occorre sperimentare le vie per sviluppare questa dote, da affinare poi nel corso della vita.

E allora? Allora impariamo dai bambini, per poter offrire il meglio agli altri da grandi. E’ la ricetta che offre una ricerca apparsa sulla rivista dell’Accademia delle Scienze Americana, Pnas, condotta da un team di studiosi dall’Università di Birmingham e dell’Università dell’Europa Centrale.

Stando allo studio, infatti, essere creativi è una dote che si ha già (e si sviluppa) fin dall’infanzia visto che i bimbi con meno di 1 anno possono combinare concetti semplici in idee complesse. E non pensate che la parola ordinata e regolare, con i fonemi che rispecchiano o magari scimmiottano quelli dell’adulto, sia basilare.

I piccoli sarebbero in grado di proporre un pensiero creativo ben prima di iniziare a parlare, ma addirittura avere questa creatività in embrione potrebbe diventare un’arma efficace per sviluppare al meglio il linguaggio. Insomma. si comincia davvero da piccoli a gettare i semi di quella capacità che, nella vita adulta, può diventare un atout vincente sul lavoro e non solo.

Il team, in particolare, è andata alla ricerca della fonte originale della creatività umana e del pensiero produttivo per cercare di scoprire come le persone arrivano a pensieri e idee completamente nuovi. Stando a quanto riporta lo studio, tutto nascerebbe dalla capacità di fare propri concetti familiari e combinarli in nuove strutture, secondo logiche solo apparentemente inesplorabili che portano ad un risultato in grado di stupire.

Ma c’è di più. Si può dire che l’allenamento in età infantile può diventare strategico per lo sviluppo del pensiero creativo: i bambini infatti sarebbero in grado di apprendere molto rapidamente nuove parole che descrivono piccole quantità e di combinarle spontaneamente con parole familiari per comprendere appieno una frase. Il tutto, anche se magari gli strafalcioni che li rendono tanto simpatici rendono i componimenti apparentemente ridicoli.

Insomma, come ricorda la coordinatrice dello studio Barbara Pomiechowska in una nota, anche se non sappiamo quando e come questa impressionante capacità di combinare idee e inventare nuove idee, “dobbiamo tornare all’inizio dell’acquisizione del linguaggio per risolvere questo puzzle”.

Per la cronaca, lo studio ha utilizzato la tecnologia di tracciamento oculare per dimostrare come bambini molto piccoli, intorno all’anno di età, riescano a combinare due concetti apparentemente lontani, fatti di numeri ed immagini. E come proprio questa dote sarebbe la chiave per sviluppare in futuro pensieri creativi. Per arrivare, magari da grandi, alle infinite possibilità di ragionamenti e percorsi.

E’ importante, insomma, tornare bambini. Anche nella vita aziendale e nei valori di gruppo, per dare fiato al pensiero laterale che ci può guidare verso soluzioni impossibili. Fiato alla fantasia, quindi. Anche perché a raccomandarlo c’è un’altra ricerca di un team coordinato da Angus Fletcher, dell’Università dell’Ohio, che raccomanda di sviluppare e lasciare senza briglie le capacità narrative per aumentare la creatività soggettiva.

Lo studio è apparso su ‘Annals of the New York Academy of Sciences’: grazie ad un approccio chiamato Project Narrative, a detta degli esperti, si può pensare di recuperare l’ambizione verso l’innovazione e riaccendere l’intuizione, semplicemente facendo lo sforzo di creare “storie” che ci vedono protagonisti. Magari viaggiando nella fantasia. Proprio come i bambini. Per offrire al mercato e al lavoro una chiave di lettura che sia in grado di colpire gli interlocutori. E di  avere successo.

 

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