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Adolescenti e social media, fenomenologia di una crisi

Fari puntati sui social media e sull’effetto che questi strumenti stanno avendo sugli adolescenti. Il bestseller del New York Times di Jonathan Haidt, ‘The Anxious Generation: How the Great Rewiring of Childhood is Causing an Epidemic of Mental Illness’, ha colpito decine di migliaia di genitori, preoccupati per il comportamento ‘da tossicodipendente’ dei figli quando si tratta dei loro smartphone.

Non sono solo i genitori a essere preoccupati: l’American Psychological Association, Common Sense Media e il General Surgeon americano Vivek Murthy, che ha chiesto che le piattaforme dei social media siano dotate di alert, sono in massima allerta riguardo agli effetti di smartphone e social sulla salute mentale degli adolescenti.

Tuttavia, l’affermazione di Haidt – secondo cui i ragazzi della Gen Z sono diversi dai loro predecessori in termini di salute mentale, proprio perché sono cresciuti con gli smartphone – così come i suoi suggerimenti per ridimensionare la situazione, hanno suscitato molte resistenze.

Andrew Przybylski, professore di Oxford, critico nei confronti di Haidt, ha dichiarato a Platformer: “Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie. In questo momento, direi che non ce l’ha”. Chris Ferguson della Stetson University, ha tentato di togliere un po’ di vento alle vele di Haidt, sottolineando che il recente aumento dei suicidi in America non è un fenomeno specifico degli adolescenti. E Candice Odgers dell’Università della California a Irvine, nella sua critica al libro, ha detto che Haidt sta contribuendo a una “crescente isteria” sui telefonini e che sta “raccontando storie che non sono supportate dalla ricerca”.

Ma Haidt e il suo capo ricercatore, Zach Rausch, mantengono la loro posizione in quello che Rausch definisce “un normale dibattito accademico”. Ciò che stanno cercando di spiegare, dice Rausch a Fortune, è “un cambiamento molto specifico avvenuto in un momento molto specifico tra uno specifico sottogruppo di bambini”. Inoltre, aggiunge: “Sono totalmente aperto all’idea che forse ci sbagliamo un po’ su quanto ciò possa spiegare il cambiamento avvenuto nell’ultimo decennio. Ma penso certamente che abbiamo basi molto solide per affermare che [gli smartphone e i social media] hanno portato a un aumento piuttosto sostanziale dell’ansia, della depressione e dell’autolesionismo tra i giovani”. Qui Rausch espone le teorie di The Anxious Generation e risponde alle critiche.

Una generazione ansiosa

L’idea centrale del libro è che qualcosa è cambiato nella vita dei giovani americani tra il 2010 e il 2015. “Ciò che stiamo cercando di spiegare è cosa è cambiato durante questo periodo per aiutare a spiegare perché la Gen Z è così diversa. E gli aspetti specifici in cui sono diversi sono spesso legati alla salute mentale, all’ansia, ai tassi di ansia, alla depressione, all’autolesionismo e persino al suicidio”, afferma Rausch.

Lui e Haidt sottolineano una serie di risultati, tra cui che la percentuale di adolescenti statunitensi che affermano di aver avuto un “episodio depressivo maggiore” nell’ultimo anno è aumentata di oltre il 150% dal 2010, con la maggior parte avvenuta prima della pandemia.

Inoltre, tra le ragazzine americane tra i 10 e i 14 anni, le visite al pronto soccorso per autolesionismo sono cresciute del 188% nel periodo, mentre le morti per suicidio sono aumentate del 167%; per i ragazzi, le visite al pronto soccorso per autolesionismo sono aumentate del 48% e per suicidio del 91%.

“Lo vediamo negli Stati Uniti”, aggiunge Rausch. “Lo vediamo in tutta l’Anglosfera, nei Paesi di lingua inglese, ma i valori relativo a benessere e salute mentale in molti Paesi del mondo stanno mostrando trend simili nello stesso periodo”. Ciò che teorizzano gli esperti è “lo spostamento della vita sociale sugli smartphone e sui social media”.

È cambiato il modo in cui i bambini e gli adolescenti si relazionano tra loro, così come con la famiglia e gli estranei. “Questo è ciò che intendiamo per ricablaggio dell’infanzia”, afferma Rausch. “È un ricablaggio del modo in cui interagiamo. La televisione non ha riprogrammato i nostri rapporti con tutti”.

Il dibattito si è sviluppato intorno a tre questioni

In primo luogo, dice Rausch, gli scettici si chiedono: esiste una crisi della salute mentale e di che dimensioni parliamo? Secondo: è internazionale o sta accadendo solo negli Stati Uniti? E terzo: qual è il ruolo dei social media?

Per Rausch “i social potrebbero comunque non essere sicuri per i bambini, giusto? Questo è qualcosa che mi sembra si preferisca ignorare, come nel caso del rapporto del General Surgeon, in cui l’attenzione è tutta su: “Può spiegare questo enorme aumento?”.

Il fatto è che fare esperimenti reali sui giovani è complicato, spiega. “In primo luogo, i social media sono relativamente nuovi, soprattutto nel caso del tipo di cui stiamo parlando, che è in continua evoluzione ogni anno”. Inoltre: “In genere non si fanno esperimenti sui bambini. E questo tipo di esperimento davvero è del tutto immorale: assegnare un gruppo di bambini a un tipo di infanzia e un altro gruppo ad averne un altro”. Insomma, il dibattito resta aperto. Ma la questione è di quelle che non si possono ignorare.

L’articolo originale è su Fortune.com.

 

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