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Project 2025: la strategia lungimirante per rinnovare i rapporti tra politica e Pa

Donald Trump usa

La burocrazia è la madre di tutte le riforme, anche oltreoceano. Tra le molte novità che arrivano dalle elezioni presidenziali americane, ce n’è una che punta i riflettori sul rapporto tra politica e pubblica amministrazione. Il nome è già tutto un programma: “Project 2025”, un documento di 922 pagine elaborato dalla Heritage Foundation, il maggior think tank della destra. Anche se Donald Trump non si è schierato apertamente in suo favore, questo “playbook” contiene le strategie per decapitare la macchina amministrativa federale sostituendo fino a 50mila dirigenti con personale selezionato in base a requisiti di competenza e fedeltà al presidente. L’idea di base, forgiata anche nella passata esperienza di Trump, è che un partito al potere, senza una classe dirigente adeguata e con personale “ostile” negli uffici della Pa, è di fatto ostacolato nella sua azione. Difficile non condividere queste preoccupazioni dal momento che anche in Italia, in più occasioni, i presidenti del Consiglio hanno lamentato, in corso di mandato o successivamente, le difficoltà di interfacciarsi con le strutture amministrative, soprattutto quando i dirigenti di prima fascia erano il prodotto di spoils system di colore opposto. “Project 2025” è consultabile online dove è possibile anche candidarsi a far parte della futura Administration. “Creeremo un esercito di conservatori esaminati, allineati, addestrati, per smantellare il vecchio sistema sin dal primo giorno”, ha scandito Paul Dans, direttore del progetto. Insomma, meglio avere anche uno staff con una consonanza politica e culturale.

Riformare la burocrazia è da sempre un’emergenza anche in Italia. E’ un’impresa ardua perché tocca interessi costituiti e significa ripensare i rapporti tra il vertice politico e la sua struttura. Una efficace riforma della Pa, finalmente agile e digitalizzata, dovrebbe avere semplici linee guida: accorciamento della catena di comando; distinzione tra politica e amministrazione, e tra amministrazione e giurisdizione; professionalizzazione della dirigenza, scelta con i criteri costituzionali del concorso e dell’imparzialità; esclusività degli incarichi; mobilità.
In primo luogo, va rivista l’organizzazione della presidenza del Consiglio, che – invece di essere un agile staff del premier – è una galassia di dipartimenti e ministri senza portafoglio, uffici di supporto, strutture di missione, comitati, commissioni e commissari straordinari, più la Scuola nazionale di amministrazione. Va poi affrontata la commistione tra politica, alta amministrazione e magistratura. Lungi dall’essere prigionieri dei loro capi di gabinetto, come vengono spesso dipinti, i ministri degli ultimi trent’anni hanno fatto a gara per affidare a esponenti delle magistrature incarichi delicati, di gestione e di consulenza, e negli uffici legislativi. In queste figure di magistrati-dirigenti-legislatori si è praticamente annullata la distinzione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, una causa non secondaria dell’eccesso di regolazione e del suo disordine.

Ora, “Project 2025” può apparire un’operazione “radicale” che tocca anche i settori della giustizia, dell’immigrazione, le cosiddette “guerre culturali” in materia di maternità e diritti Lgbtq. E tuttavia questo manifesto ha il merito della lungimiranza – per non arrivare impreparati alla prova di governo – e del coraggio: quando arrivi senza una classe dirigente adeguata, il rischio di ritrovarti osteggiato da chi dovrebbe invece facilitare la “messa a terra” delle politiche promesse ai cittadini è un rischio da non correre.

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Paideia

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