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Influenza intestinale da incubo, strascichi fino a 5 anni

influenza intestinale

È uno dei malanni tipici della stagione calda: quando ci colpisce in vacanza viene ribattezzato  ‘maledizione di Montezuma‘. A conti fatti, però, faremmo bene a non sottovalutare l’influenza intestinale: non solo può essere molto pesante, ma può ‘virare’ verso forme di sindrome dell’intestino irritabile, anche in forma grave.

A finire nel mirino dei ricercatori sono virus come Sars-Cov-2 e batteri come Campylobacter ed Enterobatteri. Stando all’ultima ricerca della Cattolica, pubblicata su ‘Gut’, i sintomi di sindrome dell’intestino irritabile compaiono in una persona su 7 dopo un episodio di influenza intestinale. Con disturbi che si trascinano per 6-11 mesi in almeno la metà delle persone colpite da una gastroenterite acuta, ma rischiano di protrarsi fino a oltre 5 anni.

Tanto che un guru del calibro di Antonio Gasbarrini, esperto di microbiota coautore dello studio e preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ammonisce contro “il rischio di sottovalutare e sotto-trattare i pazienti, abbandonandoli ai loro disturbi”. Ma vediamo meglio i risultati della ricerca.

La sindrome capricciosa

Stando alla Sige (Società Italiana di Gastroenterologia) il 20-40% della popolazione italiana soffre di sindrome dell’intestino irritabile, in particolare le donne e la fascia d’età tra i 20 e i 50 anni. Come spiega il professor Giovanni Cammarota, Ordinario di Gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della Uoc di Gastroenterologia di Fondazione Policlinico Gemelli, la sindrome dell’intestino irritabile coinvolge l’asse intestino-cervello ed “è caratterizzata da dolori addominali a insorgenza ‘capricciosa’, gonfiore, stipsi alternata a diarrea.

“Dopo aver fatto una ricognizione accurata di tutta la letteratura scientifica riguardante la comparsa di sindrome dell’intestino irritabile dopo un episodio di gastroenterite, abbiamo evidenziato che i sintomi della sindrome compaiono in una persona su 7 dopo un episodio di infezione gastrointestinale”, spiega Gianluca Ianiro, docente di gastroenterologia dell’Università Cattolica fra gli autori dello studio.

L’ansia triplica i rischi

Non solo. La presenza di disturbi d’ansia prima dell’episodio di gastroenterite, triplica inoltre il rischio di sviluppare la sindrome, interviene Serena Porcari, contrattista presso la Uoc di Gastroenterologia di Fondazione Policlinico Gemelli e primo autore dello studio. Quanto ai patogeni sotto accusa, lo studio ha evidenziato che la maggior comparsa di sindrome dell’intestino irritabile si ha dopo una gastroenterite acuta da Campylobacter (21%). Ma le chance sono 5 volte maggiori dopo infezione da Proteobacteria o Sars-CoV-2 e 4 volte maggiori dopo infezioni da Enterobacteriaceae.

“La fisiopatologia della sindrome dell’intestino irritabile – commenta Antonio Gasbarrini, direttore della Uoc di Medicina Interna e Gastroenterologia del Gemelli – non è ancora sufficientemente nota e nell’immaginario collettivo, ma anche nell’opinione di molti medici”. Il rischio di sottovalutare e sotto-trattare i pazienti, abbandonandoli ai loro disturbi, è reale secondo lo specialista. “Visto che la gastroenterite è un’evenienza molto comune, i risultati del nostro studio potrebbero portare i medici a seguire con più attenzione l’evoluzione di questi disturbi in un paziente che abbia presentato un episodio di gastroenterite acuta”. Insomma, non sottovalutiamo l’influenza intestinale, anche al momento di descrivere la nostra storia allo specialista.

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