GILEAD
Leadership Heade
Poste Italiane

Sul lavoro tendi a procrastinare? La ‘chiave’ è nel cervello

procrastinare pigrizia

Non chiamateli pigri. Perché a volte l’indolenza nasconde un vero e proprio “habitus” psicologico del soggetto, portato a procrastinare, nella logica esattamente contraria al tanto condiviso “non aspettare domani per fare ciò che potresti compiere oggi”. Così, se nel modello organizzativo di un’azienda si tende a colpevolizzare chi comunque tende pervicacemente a procrastinare i propri impegni, sarebbe importante comprendere i motivi che stanno dietro a questo atteggiamento che viene considerato indolente.

E invece? Invece probabilmente bisognerebbe capire come nasce il deliberato rinvio dei compiti. Perché ha molte sfaccettature. E per decodificarle, passando dalla psiche alla logica ferrea dei numeri, diventa fondamentale la matematica. Almeno questa è la teoria che emerge da una proposta dalla neuroscienziata computazionale Sahiti Chebolu del Max Planck Institute for Biological Cybernetics, presentata nell’ambito dei Proceedings of the Annual Meeting of the Cognitive Science Society.

Dallo studio potrebbero emergere strumenti pratici per un’ottimale gestione di chi, apparentemente, appare sostanzialmente pigro sul lavoro.

La tendenza a procrastinare, in teoria, viene vissuta come una sorta di autogoal. Ed è così. Ma, come spiega in una nota la stessa studiosa, parlare di procrastinazione non è sempre corretto. E il termine va adattato. “Se vogliamo capirlo, dobbiamo distinguere tra i suoi vari tipi”. Ed è appunto la classificazione che diventa la chiave per comprendere la base psicologica di questa tendenza, che potrebbe nascere sostanzialmente da una cattiva valutazione del tempo necessario per svolgere un determinato compito, oppure anche una sorta di autoprotezione. Non ci si sente sicuri, insomma. E quindi il ritardare l’impegno diventa quasi una sorta di autoprotezione psicologica.

La grande novità dello studio sta nel fatto che la Chebolu è arrivata a definire come e quanto una lettura matematica, tutta traslata nel complesso mondo delle neuroscienze, possa diventare la chiave per comprendere, caso per caso, l’origine della tendenza a procrastinare.

La ricercatrice in pratica inquadra la procrastinazione come una serie di decisioni temporali, partendo dal presupposto che il nostro cervello sommi tutte le ricompense e le penalità che ci aspettiamo di ottenere dai comportamenti alternativi rispetto all’impegno preso. E, poi, sceglie (e di conseguenza ci guida) la linea d’azione che promette di essere complessivamente più piacevole.

Alla fine, insomma, tutto dipende da come noi vendiamo il futuro e come consideriamo lontano quanto potrebbe accadere, che magari in realtà è temporalmente vicino. Ebbene: le possibili conseguenze in un lontano futuro vengono ponderate meno dal cervello nella sua somma di risultati positivi e negativi.

In una certa misura, questo è normale e perfino utile: il futuro più lontano è necessariamente carico di incertezze. “Solo quando diamo un valore eccessivo alle esperienze del presente e non abbastanza a quelle del futuro – segnala Chebolu – una simile politica decisionale diventa rapidamente disadattativa”.

Problema risolto? Nemmeno per idea. Tutta questa impostazione, va detto, nasce da una serie di analisi su dati messi a disposizione dall’Università di New York. I dati si sono riferiti ad un registro di studenti a cui veniva richiesto di partecipare a un determinato numero di ore di esperimenti nel corso di un semestre.

Alcuni si liberano subito del compito; altri lo distribuiscono equamente nell’arco di diverse settimane, altri ancora lo evitano fino al limite massimo, che spesso è eccessivo. E non basta, per seguire questo approccio, puntare solo sulla gratificazione del compimento del proprio dovere. Anche l’incertezza avrebbe un ruolo importante, anche perché alla fine potrebbe essere la “maschera” che nasconde la sfiducia nelle proprie possibilità o la percezione che il compito ci aiuti davvero a raggiungere gli obiettivi.

Da questa analisi, insomma, esce una sorta di “mappa comportamentale” che può aiutare a comprendere perché e soprattutto quando perdiamo”la via dell’impegno e ritardiamo i nostri compiti. Fino ad offrire proposte pratiche per chi si occupa di HR. Nei soggetti in cui il cervello si sbilancia verso un’immediata ricerca di gratificazione, funzionano ottimamente i premi a breve termine. Ma è solo un esempio.

Analizzare la procrastinazione diventa una chiave per il miglior rendimento, al lavoro come a scuola. Per offrire ad ognuno la sua strada e per far sì che la persona si integri perfettamente, con le sue caratteristiche, nel modello organizzativo. Insomma: non chiamateli pigri.

Leadership Forum
Paideia

Leggi anche

Ultima ora

ABBIAMO UN'OFFERTA PER TE

€2 per 1 mese di Fortune

Oltre 100 articoli in anteprima di business ed economia ogni mese

Approfittane ora per ottenere in esclusiva:

Fortune è un marchio Fortune Media IP Limited usato sotto licenza.