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Possiamo far crescere il fattore Z del talento?

Nella new normal della crescita algoritmica della tecnologia, il fattore talento rappresenterà una risorsa sempre più necessaria per le economie, per acquisire capacità di adattamento agile ai cambiamenti esterni e costruire percorsi virtuosi di rigenerazione dell’industria in chiave creativa, innovativa e sostenibile.

Ma il talento è oggi una delle risorse più scarse. Secondo una recente ricerca di Manpower, ben 3 datori di lavoro su 4 a livello globale non riescono a trovare i profili ricercati. È un dato coerente con le crescenti difficoltà che sperimentano anche le imprese italiane nel reperire figure con elevate competenze tecniche e manageriali, soprattutto per mancanza di candidati adeguati. Si tratta di un fenomeno ampio che nel solo mese di giugno ha coinvolto oltre il 47% dei profili ricercati in Italia, pari a circa 260mila job position vacanti e non occupate. E questo nonostante vi siano nel nostro Paese oltre 2 milioni di NEET, ovvero di giovani che non studiano e non lavorano.

Potremo dunque vincere la race for talent solo se sapremo investire nel potenziamento del talento dei nostri giovani, ovvero fare leva sul ‘Fattore Z’ del talento. Se il nodo della crescita futura delle economie sarà il talento, diverrà centrale il saper riconoscere, attrarre, far crescere i giovani talenti con percorsi virtuosi di sviluppo personale, e la coltivazione delle capacità di leadership, per consentire ai giovani di divenire protagonisti della vision e dei valori dell’industria di domani.

L’avvicinamento dell’impresa ai giovani richiede tuttavia l’adozione di nuove politiche di human resource management da parte delle imprese, che siano volte a favorire il passaggio dalla cultura della burocrazia alla cultura della collaborazione, incentrata quindi sulle persone e sull’empowerment dei loro talenti. I giovani si aspettano infatti di lavorare in ambienti che stimolino l’apprendimento continuo, che offrano opportunità di acquisire competenze sulle nuove tecnologie, ma anche abilità trasversali, capacità sociali e di comunicazione, di sviluppare il pensiero creativo, e creare con gli altri. Crescere in azienda per i giovani non è più solo “fare carriera”, ma arricchirsi e maturare come persone, partecipare al progresso della società facendo esperienze nuove ed ingaggianti, anche nello stesso luogo di lavoro.

Per i giovani, dunque, avere opportunità di carriera non sarà sufficiente per scegliere l’impresa in cui lavorare. I giovani oggi sono alla ricerca di ambienti di lavoro dinamici dove poter esprimere il proprio potenziale e le proprie capacità personali, dove poter essere impactful, ovvero dimostrare attraverso il proprio lavoro un impatto diffuso sulla società, che superi i confini aziendali per co-creare il valore di impresa, condividere esperienze e ricevere feedback, partecipare attivamente alla costruzione dei valori della società di domani.

Si tratta di un cambio di paradigma umano-centrico nella gestione delle risorse umane che è stato già abbracciato da numerose aziende italiane, non soltanto in settori tecnologici ma anche in comparti tradizionalmente poco attrattivi per i giovani, come le costruzioni o il manifatturiero. Numerose sono infatti le imprese che in Italia hanno adottato politiche di valorizzazione del benessere personale mediante iniziative che mettono al centro i principi della flessibilità, del work-life balance e dell’happiness at work. Sono tante, inoltre, le realtà che si sono dotate di accademie di formazione interna per lo sviluppo continuo delle competenze e della leadership anche dei giovani manager, e molte si avvalgono già di preziose collaborazioni con l’ecosistema esterno della formazione e in particolare delle università.

Attrarre nuovi talenti significherà anche superare i tanti paradossi intergenerazionali che emergeranno dalla convivenza di vecchie e nuove generazioni. I nuovi manager della generazione Z faranno ingresso in aziende presidiate da Millennials, dagli X e dai cosiddetti Boomer. I dati ci dicono che oggi circa il 53% di coloro che ricoprono una posizione apicale nelle imprese del nostro Paese ha un’età superiore ai 50 anni, il 10% ha oltre 65 anni. Questo significa che in un futuro vicino potranno convivere nella stessa organizzazione ben quattro diverse generazioni. In questa prospettiva, diventerà fondamentale adottare strategie di mutual commitment generazionale mediante iniziative di onboarding dei giovani e l’istituzionalizzazione dei percorsi di mentorship e di apprendimento reciproco in azienda, nella consapevolezza dell’importanza di creare ponti generazionali, ovvero momenti di contaminazione produttiva tra generazioni, nell’intento di formare oggi i manager di domani, che dovranno essere visionari, resilienti, creativi, capaci di riconoscere e accogliere l’innovazione e di gestire la leadership in chiave sostenibile e inclusiva.

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