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Paolo Ascierto (Pascale): “La nuova era della lotta al melanoma è iniziata”

Adyen Articolo
Velasco25

Voleva indossare la divisa di Carabiniere, invece è diventato il ‘guru del melanoma’. Oggi le sue ricerche stanno riscrivendo la storia delle cure di questo tumore.

“Finally I’m here”. Paolo Antonio Ascierto ricorda commosso il lungo applauso ricevuto dai colleghi di tutto il mondo sul palco del meeting annuale American Society of Clinical Oncology di Chicago, “l’appuntamento più importante dell’anno per noi oncologi”. Un appuntamento che il direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia oncologica e Terapie innovative dell’Istituto Pascale di Napoli rischiava di saltare. E questo per colpa di un brutto incidente in moto, che l’ha tenuto bloccato per mesi in ospedale. Ma “il professor Giancarlo De Marinis mi ha rimesso in piedi in tempi record e sono riuscito ad andare in America con le stampelle”, ci racconta. Classe 1964, Ascierto si è laureato in Medicina alla Federico II di Napoli, specializzandosi in oncologia e poi appassionandosi alla cura del melanoma. Da allora l’oncologo ha pubblicato più di 700 lavori, con un Impact Factor di 7.500 e un H-index di 106 (indice che misura sia la produttività che l’influenza di un autore, mediante il calcolo delle pubblicazioni e del numero di citazioni ricevute, ndr). La lista dei riconoscimenti ricevuti in carriera è lunghissima e oggi possiamo dire che Ascierto è uno degli scienziati che il mondo ci invidia.

Come è nata la sua passione per la medicina?
La mia è una famiglia di Carabinieri e da bambino anche io volevo indossare la divisa, come ha fatto mio fratello. Mio padre però era contrario: aveva notato un interesse per la medicina ma io, che ero rimasto male per non essere diventato Carabiniere, per ripicca mi sono iscritto a Ingegneria chimica a Napoli. Tempo una settimana, il confronto con alcuni docenti mi ha permesso di inquadrare la mia vera passione: la ricerca. Così ho cambiato in corsa e mi sono trasferito a Medicina. L’interesse per l’oncologia nasce intorno al quarto anno. Dopodiché mi sono trovato a occuparmi di immunologia; ho iniziato a trattare i pazienti nel ’91 e, fin da specializzando, mi fu affidato il melanoma.

Da decenni ormai lei è impegnato nella ricerca su questo tipo di cancro della pelle aggressivo, che è anche uno dei tumori maggiormente immunosensibili. Che strada consiglierebbe a un giovane ricercatore?
Gli consiglierei un’esperienza all’estero: è un momento importante di crescita, confronto, ma anche un modo per arricchire il nostro ‘bagaglio’ di esperienze. Non sono mai stato negli Stati Uniti per periodi lunghi, ma ho sempre collaborato con i colleghi americani. Le strutture di eccellenza in oncologia nel mondo non mancano: dal Memorial Sloan Kettering Cancer Center al MD Anderson Cancer Center, all’University of Pittsburgh, fino al Dana Faber, solo per citarne alcune negli Usa. Ma anche in Italia abbiamo dei centri eccezionali, soprattutto gli Irccs oncologici, che fanno dell’ottima ricerca.

Parlando di ricerca, come sta cambiando la lotta ai tumori? A Chicago il suo team ha presentato degli studi interessanti sul fronte del melanoma.
Sta iniziando una nuova era per le cure contro il tumore: grazie alla medicina di precisione sta cambiando tutto. Diverse forme di immunoterapia si stanno dimostrando straordinariamente efficaci nell’allungare i tempi di sopravvivenza di alcune persone con tumori avanzati e ‘difficili’. A Chicago abbiamo presentato dati preliminari, ma molto incoraggianti, su pazienti con forme di melanoma avanzato inoperabile e metastasi epatiche e cerebrali, una tripletta di immunoterapici si è dimostrata promettente, ottenendo circa il 60% di risposte: merita certamente di essere indagata in studi clinici più ampi.
Non solo. Abbiamo presentato delle novità interessanti anche sull’immunoterapia neo-adiuvante, che prevede la somministrazione del trattamento immunoterapico prima dell’intervento chirurgico. I pazienti che hanno ricevuto il trattamento prima della chirurgia hanno registrato un tasso di sopravvivenza libera da eventi, cioè dalla progressione della malattia e da morte, pari all’83%. Questo vuol dire circa il 30% in più rispetto ai pazienti che hanno ricevuto l’immunoterapia solo dopo l’intervento chirurgico. Questi risultati cambiano la pratica clinica: ora l’immunoterapia neo-adiuvante diventa lo standard di cura per i pazienti con melanoma metastatico. Possono beneficiare del trattamento neo-adiuvante quei pazienti che hanno una malattia clinicamente evidente e che può essere resecata chirurgicamente. Infatti l’immunoterapia, in presenza di cellule tumorali, aumenterebbe l’efficacia del sistema immunitario che, dopo l’intervento chirurgico e la resezione completa del tumore, avrebbe un potere maggiore nel prevenire le recidive. Infine, sempre in neo-adiuvante, c’è un’altra novità: un farmaco, il daromun, che si inietta direttamente nel tumore e a breve a mio parere arriverà rapidamente nella pratica clinica. Insomma, ci avviamo verso un’era in cui sempre più pazienti avranno benefici dai trattamenti.

Anche le parole sono cambiate. La scelta di Re Carlo III e di Kate Middleton di parlare apertamente della malattia ha portato molti comuni cittadini a fare i controlli. E in Italia?
Tutte le novità che abbiamo ascoltato a Chicago ci fanno dire che le notizie sono buone, ma prevenire è sempre meglio che curare. Se si riesce a fare una diagnosi precoce, è davvero un grande vantaggio. Oggi abbiamo dei bersagli molecolari che possono essere colpiti con specificità, a vantaggio dei pazienti. La combinazione di alcuni di questi farmaci con l’immunoterapia sta dando risultati importanti, ma bisogna aderire agli screening.

Nel frattempo a Napoli, come in altri centri in tutto il mondo, sta andando avanti la sperimentazione di fase III del vaccino a mRna contro il melanoma. A che punto siamo?
I dati ulteriori di fase II presentati a Chicago hanno confermato l’efficacia della combinazione del vaccino con l’immunoterapia (lo scopo non è prevenire la malattia, ma aiutare il sistema immunitario dei pazienti a riconoscere e ad attaccare più efficacemente il tumore, ndr). La fase III è in corso, ma dovranno passare due anni prima di poter avere a disposizione i risultati.

Si moltiplicano le applicazioni dell’AI in medicina, quale sarà l’impatto in oncologia?
L’intelligenza artificiale ci potrà aiutare, ma non dobbiamo confidare solo sull’AI: dobbiamo imparare a combinarla con la capacità di intuito e la creatività tipiche della mente umana. I giovani di queste ultime generazioni mi appaiono un po’ meno propensi al sacrificio rispetto a come eravamo noi, e a volte questo va a discapito della passione. Quello che mi aiuta nella selezione dei ricercatori è proprio il fatto di vedere che ci mettono il cuore, la passione: sono ingredienti necessari per emergere in questo campo. Nonostante l’incidente, il mio obiettivo quest’anno era andare all’Asco per presentare il frutto delle nostre ricerche: la soddisfazione di portare all’attenzione dei colleghi un dato nuovo costruito nel tempo e di far parte di scoperte importanti è una ricchezza inestimabile.

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