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Medici, le ragioni della ‘grande fuga’ dal Ssn

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Diciamolo subito: non è (solo) una questione di soldi. A spingere i medici italiani a uscire dalla sanità pubblica è un mix di motivazioni legate in parte proprio all’organizzazione (si fa per dire) del lavoro. Contratti temporanei in decollo, retribuzioni reali in picchiata, burnout, aggressioni: la professione per molti ‘camici bianchi’ diventa un incubo. A dircelo è il nuovo Rapporto Fnomceo-Censis presentato questa mattina a Roma in occasione del Convegno organizzato dalla  Federazione nazionale degli Ordini dei Medici.

I medici “sono il volto del nostro Servizio sanitario nazionale sono coloro che possono tutelare la centralità della salute rispetto a qualsiasi altra esigenza anche di tipo economico”, ha affermato il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli. “È necessario un nuovo paradigma che metta al primo posto la centralità assoluta della tutela della salute, della prevenzione e del follow up introducendo i principi del governo clinico nella gestione delle risorse e l’attribuzione ai medici di un ruolo essenziale in questi processi decisionali. Bisogna passare da un modello che veda la definizione delle risorse come primo atto per poi passare a massimizzare la redditività, per cercare di centrare gli obiettivi di efficienza assistenziale ad uno che invece definisce prima gli obiettivi di salute e gli strumenti assistenziali per poi individuare tutte le risorse necessarie”, ha aggiunto Anelli.

Sovraffollamento e carenza di medici

Il fatto è che negli ultimi 24 mesi, direttamente o tramite familiari, il 44,5% degli italiani ha sperimentato situazioni di sovra-affollamento in reparti ospedalieri o strutture sanitarie. Esperienze condivise dal 44,7% nel Nord-Ovest, dal 39% nel Nord-Est, dal 45,5% nel Centro e dal 46,8% al Sud-Isole.

Così il moltiplicarsi di aggressioni ai medici non è altro che la trasformazione del professionista della sanità nel capro espiatorio di contesti difficili ed eventuali prestazioni non in linea con le aspettative. Secondo l’84,3% degli italiani le aggressioni ai medici sono un’emergenza su cui occorre intervenire con provvedimenti urgenti ed efficaci.

“Se il potenziamento sostanziale del finanziamento pubblico è una sorta di precondizione ineludibile, tuttavia esso non esaurisce la gamma di problematiche da affrontare poiché, a questo stadio, quel che va rimesso in discussione è un approccio di fondo, culturale e operativo, troppo a lungo egemone nella sanità italiana. È l’approccio aziendalistico, in cui il rispetto di vincoli di bilancio prevale su criteri di valutazione fondati sulla necessità e l’appropriatezza delle prestazioni per la tutela della salute dei cittadini e che, di conseguenza, pone il medico in posizione subordinata rispetto ai responsabili economico-finanziari della sanità”, si legge nel report.

Negli anni l’aziendalizzazione è stata anche all’origine di una prolungata politica di contenimento della spesa per il personale sanitario, con un marcato disinvestimento nei medici, infermieri e altri operatori.

Pilastri del servizio

Otto italiani su dieci ne sono convinti: se il Servizio sanitario nazionale ha retto, lo si deve all’impegno straordinario dei medici. Che lo hanno puntellato con sforzo individuale, in condizioni difficili e senza un ritorno economico adeguato.

Ma oggi lavorare nel Ssn è diventato sempre più difficile, pesante, ad altissimo rischio di burn-out, senza adeguate gratificazioni economiche. Da qui l’inevitabile fuga verso soluzioni professionali meno logoranti e a più alta gratificazione, nella libera professione così come all’estero

Il lavoro temporaneo

Intanto, le esigenze di personale sono state affrontate ricorrendo a contratti temporanei e addirittura a forme di forniture di servizi. Considerate le unità annue di lavoro a tempo determinato e interinali, per le figure sanitarie si registra, dal 2012 al 2022, un balzo di +75,4%. Nello stesso periodo, le figure sanitarie stabili, a tempo indeterminato, sono aumentate solo del 2,6%. La spesa per lavoro a tempo determinato, consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie provenienti dal privato è stata pari a 3,6 miliardi di euro nel 2022, con un incremento del +66,4% rispetto al 2012. Mentre la spesa per il personale permanente è aumentata solo del 6,4%.

La spesa totale per le retribuzioni dei medici permanenti nella Pubblica amministrazione tra il 2012 e il 2022 è rimasta sostanzialmente invariata, registrando un +0,2%, con -2,5% tra il 2012 e il 2019 e un +2,8% tra il 2019 e il 2022. Addirittura, tra il 2015 e il 2022 le retribuzioni dei medici nella PA sono diminuite, in termini reali, del 6,1%. Questi numeri, uniti alle condizioni di lavoro, sono una conferma ulteriore del mancato investimento proprio sui medici.

Del resto, posto a 100 il valore delle retribuzioni dei medici dipendenti italiani, nei Paesi Bassi è pari a 176, in Germania a 172,3 e Irlanda a 154,8: i medici italiani guadagnano molto meno dei colleghi di altri paesi omologhi.

Dati di comparazione internazionale mostrano inoltre che in Italia ci sono 410 medici per 100 mila abitanti, superiore al dato della Francia che ha 318 medici per 100 mila abitanti o dei Paesi Bassi con 390 medici per 100.000 abitanti.

Insomma, per gli autori del rapporto la criticità reale non consiste nella scarsità assoluta di medici rispetto alle necessità, ma piuttosto nella perdita di attrattività relativa del Servizio sanitario rispetto alle opportunità libero professionali, peraltro poi richieste proprio dalle strutture della sanità pubblica.

La soluzione

Piuttosto che ricorrere a medici provenienti da Paesi lontani e spesso molto diversi dal nostro, sarebbe opportuno promuovere investimenti adeguati per restituire attrattività al lavoro nel Servizio sanitario: così, del resto, la pensa l’85% degli italiani. L’84,5% degli italiani è convinto che avere troppi medici con contratti temporanei, intermittenti indebolisce la sanità: opinione condivisa da maggioranze trasversali a gruppi sociali e macroaree territoriali. L’87,2% reputa prioritario migliorarne le condizioni di lavoro, perché sono la risorsa più importante della sanità.

Allo stesso modo, il 92,5% degli intervistati indica come urgenza suprema procedere all’assunzione di medici e infermieri nel Servizio sanitario nazionale. Mentre l’84,5% è convinto che avere troppi medici con contratti temporanei indebolisce la sanità. Per l’87,2% è quindi prioritario migliorare le condizioni di lavoro e le retribuzioni dei medici, proprio perché li considerano la risorsa più importante della sanità.

Il Rapporto Fnomceo-Censis ricorda inoltre che quasi il 92% degli italiani considera la sanità per tutti quale motivo di orgoglio per il Paese e distintività a livello internazionale. Anche per questo, l’83,6% dichiara esplicitamente che, dopo Covid, si aspettava molte più risorse e un impegno più intenso per potenziare la sanità.

“Non ci sarà una sanità efficiente e per tutti – ha avvertito Francesco Maietta, Responsabile Area Consumi, Mercati e Welfare del Censis – se non saranno create le condizioni per un’espansione del numero di medici convinti che val la pena lavorare in modo permanente nel Servizio sanitario. Ogni altro obiettivo, a cominciare da quello socialmente decisivo del taglio della lunghezza delle liste di attesa, è subordinato a quello di rendere il Servizio sanitario un contesto particolarmente attraente per i nostri medici, a cominciare dai giovani”.

La testimonianza dei medici Anaao

“Il sovraffollamento delle strutture ospedaliere e la crescente difficoltà di accesso alle cure da parte dei cittadini è un problema molto più uniforme sul territorio italiano di quanto si possa pensare perchè colpisce il Sud quanto il Nord”, commenta il segretario nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio.

“In questo scenario di crisi profonda del Ssn rientra a pieno titolo la fuga dei medici. Che non è solo e non è più un problema di numeri (i 50.000 specializzandi parcheggiati nelle università, ad esempio, rappresentano una anomalia tutta italiana con un teaching hospital che stenta ancora a decollare). È anche – aggiunge Di Silverio – un problema di condizioni di lavoro. Stipendi al palo e con irrisori aumenti ben al di sotto del tasso inflattivo e dell’indice Ipca, carriere ridotte al lumicino e destinate a pochi ‘eletti’, orari di lavoro massacranti, contenzioso medico-legale e assenza di sicurezza nei luoghi di cura, aggressioni fisiche e verbali in costante aumento rappresentano deterrenti al lavoro medico soprattutto nella dipendenza, negli ospedali e nelle Asl”. Per il segretario Anaao è il momento “di un grande patto sociale tra cittadinanza, istituzioni e professionisti per recuperare la mission della nostra professione. Se crolla il Ssn, crolla lo stato sociale”.

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