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Natalità, l’impatto dell’AI sulla fecondazione assistita

fecondazione AI
Adyen Articolo
Velasco25

Mettere un freno all’inverno demografico con l’aiuto della scienza e dell’AI. L’intelligenza artificiale, infatti, è  entrata anche nei laboratori di fecondazione assistita. E promette di aiutare gli embriologi in carne e ossa a dare la corretta priorità agli embrioni, riducendo il tempo necessario per ottenere la nascita di un bambino.

È la prospettiva aperta da uno studio del gruppo Genera presentato al 40° Congresso della Società europea di Medicina della riproduzione ed embriologia (Eshre) di Amsterdam. “La morfologia e il ritmo di sviluppo dell’embrione  sono associati alla competenza cromosomica e riproduttiva, ma la loro valutazione rimane soggettiva e poco riproducibile. L’introduzione di incubatori che consentono di filmare gli embrioni in vitro ha fornito preziose informazioni sul loro sviluppo preimpianto, ma non ha migliorato la riproducibilità del giudizio dell’occhio umano, quello degli esperti embriologi che nei laboratori studiano e classificano gli embrioni a seconda della loro morfologia. A oggi, infatti, il test genetico pre-impianto è ancora l’indicatore più attendibile e validato per predire la capacità dell’embrione di dare luogo a una gravidanza”, commenta Danilo Cimadomo, responsabile Ricerca del gruppo Genera, già 40 Under 40 di Fortune Italia.

Lo studio

I nuovi modelli di AI integrati con time-lapse fanno ipotizzare la possibilità di automatizzare e standardizzare le valutazioni. Per il nuovo studio è stata eseguita un’analisi retrospettiva in cieco di 786 cicli di PGT e 2.184 blastocisti. Sono stati confrontati un approccio di valutazione standard, un approccio di valutazione con time-lapse e un approccio di valutazione mediante intelligenza artificiale. AI e classificazioni tradizionali hanno dato la priorità agli embrioni euploidi con prestazioni comparabili.

Ma a che punto siamo? “Attualmente – spiega l’esperto – gli strumenti di intelligenza artificiale sono oggetto di studio per valutare se possano prevedere in modo non invasivo lo stato di salute a livello cromosomico degli embrioni, ma prima di poterli utilizzare in clinica a tal fine avremo bisogno di ulteriori analisi. Soprattutto, se un centro applica quotidianamente il test genetico pre-impianto, che è il miglior indicatore di competenza embrionale, non credo sia così prossimo il momento in cui esso possa essere sostituito da uno strumento di AI. Vedo più probabile, a breve termine, una cooperazione delle due tecnologie nella predizione dell’impianto embrionale”.

L’evoluzione della Pma

Ma quanti sono i ‘figli della provetta’ nel nostro Paese? Ben 217.000 dal 2004 a oggi. E, anche su questo fronte, non sono mancati i progressi. Un altro lavoro presentato dal gruppo Genera ad Amsterdam mette in evidenza le 5 strategie che hanno contribuito all’aumento dei nati da fecondazione assistita in Italia: in media si è passati dal 32% nel 2010 al 42% nel 2020, con picchi fra il 70 e l’80% nelle donne ‘under 38’.

Si tratta delle terapie ormonali personalizzate mirate a ridurre rischio di complicanze, come l’iperstimolazione ovarica, senza però compromettere il risultato; la coltura a blastocisti, cioè portare gli embrioni prodotti in laboratorio al 5-7° giorno di sviluppo, lo stadio più adatto a facilitare poi l’impianto in utero; l’approccio freeze-all, cioè la scelta di congelare i gameti e gli embrioni prima di procedere con il trasferimento, in modo da avere tempo per ottimizzare le condizioni dell’utero materno; il test genetico pre-impianto, che consente di conoscere lo stato di salute degli embrioni prima del transfer; infine l’approccio multiciclo, cioè la sensibilizzazione della coppia a considerare la Pma come un percorso, le cui potenzialità spesso non si concretizzano in un solo tentativo ma, in media, in almeno tre. L’analisi è avvenuta considerando i dati di 6.600 coppie sottoposte a Pma nel centro Genera di Roma.

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