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Nuoto: solo il 30% dei bambini è davvero abile. I pericoli in acqua

nuoto

Siamo un popolo di santi, poeti, navigatori ma – ahimè – non di nuotatori. “In Italia non c’è l’abitudine, durante l’infanzia e l’adolescenza, a un appropriato insegnamento del nuoto. Così troppo spesso gli italiani sanno nuotare poco e male, e una parte non sa farlo affatto. Pensiamo che solo il 30% dei bambini sopra i 6 anni e fino all’adolescenza sa nuotare bene”, spiega a Fortune Italia Italo Farnetani, professore ordinario di Pediatria Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche United Campus of Malta.

E gli altri? “Il 30% sa stare a galla e spostarsi solo in avanti e il 10% sa farlo solo in piscina. Il rimanente 30% non sa nuotare affatto. Questo dà l’idea del pericolo”, aggiunge il pediatra. Un pericolo certificato dall’Istituto superiore di sanità: in Italia ogni anno si contano circa 350 decessi per annegamento, con 800 ricoveri e ben 60.000 salvataggi.

I dati

Parte proprio dai numeri l’Osservatorio per lo sviluppo di una strategia nazionale di prevenzione degli annegamenti e incidenti in acque di balneazione, istituito dal ministero della Salute, che ha prodotto il suo primo rapporto, pubblicato sul sito dell’Iss. A conti fatti dal 2003 al 2020 sono morte per annegamento 6.994 persone nel nostro Paese (Istat), con una media annua di 389 decessi, scesa a 342 negli ultimi otto anni.

La Società Nazionale di Salvamento, che ha analizzato i dati della stampa nazionale dal 2016 al 2021, ha identificato inoltre 1.327 annegamenti: 857 lungo i litorali marini e 470 nelle acque interne (laghi, fiumi, torrenti, stagni).

Una fatalità?

Numeri importanti, scrivono gli esperti, ma che in effetti si potrebbero ridurre. Come? Individuando le cause degli annegamenti (negli ambienti naturali sono soprattutto malori, correnti, fondali irregolari, sport acquatici e cadute), i luoghi dove avvengono, le condizioni che li determinano. Ma anche prevenendo questi eventi ,che non vanno più considerati una “inevitabile fatalità”, ma una “malattia sociale”, spiegano Fulvio Ferrara, Enzo Funari e Dario Giorgio Pezzini del Dipartimento Ambiente e Salute dell’Iss, curatori del rapporto.

Quando le vittime sono bambini

Tornando ai giovanissimi, dal 2017 al 2021 l’Istat riporta 206 decessi per annegamento tra 0-19 anni, con una media di circa 41 morti l’anno. Più dell’80% delle vittime è costituito da maschi e il 47% ha meno di 15 anni. Se le acque del mare a volte fanno paura, gli annegamenti in piscina ammontano a circa 30-40 all’anno, prevalentemente proprio tra i bambini.

A metterli il pericolo – dicono gli esperti – il rapporto testa-corpo sfavorevole, con il capo relativamente pesante. Ma anche il fatto che i bambini piccoli che stanno annegando non si agitano e non gridano aiuto. I più grandicelli, invece, hanno la tendenza a ricercare anche in acqua la posizione verticale per restare a galla, ma lo fanno in modo scomposto, sommergendosi in pochi secondi.

L’esempio della Francia

Per Ferruccio Alessandria, presidente di Assopiscine, i dati dell’Iss “confermano l’urgenza di un intervento da parte del governo per definire una norma che introduca presidi di sicurezza per ridurre gli incidenti”. Una soluzione che si è dimostrata efficace nel caso della Francia, “che da oltre vent’anni ha introdotto una norma che ha ridotto gli incidenti del 70%. Per questa ragione – ricrda Alessandria – portiamo avanti campagne di sensibilizzazione e, da circa un anno, abbiamo avviato un tavolo di lavoro e un dialogo costante con il ministero della Protezione Civile e le Politiche del Mare e le altre istituzioni coinvolte. Presidi di sicurezza ed educazione acquatica per i bambini sono le prime forme di prevenzione”.

La paura dell’acqua

Ma cosa fare se il piccolo, appena vede uno specchio d’acqua, inizia a piangere? “Precisiamo una cosa: i bambini non hanno paura dell’acqua, che anzi per loro è fonte di grande divertimento”, sottolinea Farnetani. “Basti pensare che il grande pedagogista Jean Piaget ha sviluppato la sua teoria fondamentale osservando le figlie che facevano il bagno”.

Non solo. “Dalle mie indagini fra i pediatri, il nuoto è emerso come uno sport molto amato, sia dai maschi che dalle femmine”, ricorda Farnetani. “A spaventare è, piuttosto, il fatto di non saper nuotare, o l’essere incappati in maestri di nuoto improvvisati, magari la mamma o il papà bene intenzionati ma poco preparati. Siamo finiti sott’acqua, abbiamo bevuto e ci siamo spaventati”.

L’età giusta imparare

Come proteggere i più piccoli? “I bambini che non sanno nuotare e quelli sotto i 4 anni in acqua devono portare i braccioli. Ricordiamo che l’età ideale per imparare a nuotare è dai 4 anni, ma le lezioni devono essere fornite da istruttori della Federazione italiana nuoto, dotati di capacità tecniche e didattiche”, raccomanda Farnetani.

E chi non sa ancora nuotare? “Se le lezioni in piscina vanno bene tutto l’anno, il mio consiglio in questo periodo è quello di sfruttare le vacanze estive per mandare i piccoli a scuola di nuoto. Meglio questa attività, anzichè restare in casa a fare i compiti delle vacanze. Infine, considerati i numeri che abbiamo visto e il rischio di incidenti in acqua, è sempre bene scegliere spiagge in cui è assicurato il servizio di salvataggio”, conclude il pediatra.

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