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La leggenda del tennis Chris Evert e la sua partita contro il tumore all’ovaio

Un articolo del ‘New York Times’ sulla battaglia della leggenda del tennis Chris Evert contro il tumore alle ovaie, descrive un quadro semplice e potente: preoccupata dopo la morte della sorella a causa della malattia, Evert si è sottoposta al test e ha potuto diagnosticare il tumore precocemente, allo stadio 1, trattandolo con successo nel 2022. Poi la malattia è tornata (di nuovo allo stadio 1, il che significa che non si era diffuso): Chris Evert è riuscita a intercettarlo e trattarlo ancora una volta per tempo. Ora la 69enne è stato dichiarata libero dal cancro per la seconda volta.

“Come per la prima diagnosi, i test precoci sono stati fondamentali”, si legge nell’articolo. Ma c’è un problema: quando si tratta di tumore ovarico, non esistono test precoci. “Non esiste uno screening validato. Non esiste un metodo di diagnosi precoce”, dice a Fortune Sarah DeFeo, responsabile del programma presso l’Ovarian Cancer Research Alliance (OCRA). “È una malattia rara”, con un rischio pari a 1 su 87 nel corso della vita, “quindi non è qualcosa che accade come parte dei controlli di una donna sana, sia con un ginecologo che con un normale medico di medicina interna”.

Questo perché, afferma la dottoressa Gillian Hanley, membro del comitato consultivo scientifico dell’OCRA e professore associato di ostetricia e ginecologia presso l’Università della British Columbia, “tutti i metodi di screening che sono stati provati fino ad oggi non sono riusciti a ridurre i tassi di mortalità, ed è così che determiniamo se un metodo di screening è efficace o meno”.

Sebbene esistano alcuni metodi standard per monitorare il tumore ovarico in caso di sospetti, incluso un esame del sangue CA-125 che potrebbe indicare marker tumorali e un’ecografia transvaginale che potrebbe aiutare a identificare le masse, questi esami sono imprecisi. Inoltre, non sono indicati né disponibili per le donne in assenza di sintomi – che tendono a rivelarsi solo quando il cancro è progredito in modo significativo – o di un fattore di rischio elevato, nel senso che il paziente è già risultato positivo per marker genetici cheaumentano la possibilità di ammalarsi di cancro alle ovaie.

Insomma, puntualizza DeFeo, “non è qualcosa che è raccomandato”. Piuttosto, ciò che le donne dovrebbero considerare, dice, è sottoporsi al test genetico sui marker del tumore. È qualcosa di cui la stessa Evert ha parlato in precedenza: era risultata positiva al gene BRCA-1 dopo la morte della sorella, perciò si è sottoposta a un’isterectomia preventiva con rimozione delle ovaie e delle tube di Falloppio. Solo allora, attraverso il referto patologico, ha appreso di avere un tumore alle ovaie di stadio 1.

Nessuno di questi dettagli è stato menzionato nell’articolo più recente del ‘New York Times’, ma in realtà sono proprio gli elementi più vitali, afferma DeFeo. “Ha parlato molto di sottoporsi al test in anticipo, ma per me la vera storia riguarda l’importanza di conoscere il proprio rischio” genetico “e la gestione del rischio”, afferma. “Penso che questo sia il punto importante della sua storia”.

Il tallone d’Achille degli screening del tumore all’ovaio

Gran parte di quello che sappiamo in tema, deriva dai risultati deludenti del 2021 di uno studio clinico condotto nel Regno Unito che ha seguito 200.000 donne per più di 20 anni, concludendo che lo screening non salva vite umane.

Lo studio, il più grande del suo genere al mondo, ha randomizzato i pazienti in tre gruppi: 1) nessuno screening, 2) screening annuale con ecografia e 3) screening annuale con ecografia e analisi del sangue CA-125. Ebbene, non è stato rilevato alcun impatto salva-vita nei gruppi sottoposti a screening. “Pertanto non possiamo raccomandare lo screening del tumore ovarico alla popolazione generale utilizzando questi metodi”, ha osservato all’epoca la dottoressa Usha Menon, ricercatrice principale.

“L’aspetto complicato e devastante del cancro ovarico è che, a nostro avviso, deve essere diagnosticato molto precocemente affinché possa avere un impatto sulla mortalità”, afferma DeFeo. “Non si tratta di intercettarlo tre mesi prima… Dobbiamo trovare un modo per prendere questa malattia anni prima”.

Ma al momento non è possibile. “La tecnologia non esiste”, dice. Inoltre, aggiunge Hanley, la maggior parte dei casi di tumore alle ovaie sembra avere origine nelle tube di Falloppio, che non sono facilmente raggiungibili o sottoposte a biopsia. È per questo che dall’anno scorso l’OCRA raccomanda la rimozione preventiva delle tube di Falloppio, un approccio approvato dall’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) dal 2015.

La raccomandazione si applica non solo a coloro che risultano positivi al test ad alto rischio genetico, come con mutazioni del gene BRCA-1 o BRCA-2, ma anche a tutte le donne che intendono sottoporsi a un intervento di chirurgia pelvica. 

L’articolo completo è disponibile su Fortune.com.

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